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Estendere a 24 mesi il permesso di soggiorno per chi ha perso il lavoro: è semplice la richiesta alla base della mobilitazione che oggi, martedì 28 giugno, attraverserà l’Italia. Una giornata promossa da Cgil, Cisl e Uil, che consisterà in numerose iniziative territoriali, con presidi e manifestazioni davanti a tutte le Prefetture d’Italia.
L’obiettivo della protesta, spiegano i sindacati, è “lo sblocco della situazione relativa ai permessi di soggiorno per attesa occupazione”. Da molto tempo, infatti, Cgil, Cisl, Uil hanno chiesto all’Esecutivo di estendere la durata del permesso per attesa occupazione a due anni, “vincolando il provvedimento alla messa in atto di concrete politiche attive del lavoro…”. Le tre Confederazioni hanno suggerito inoltre la necessità di monitorare il comportamento delle questure, visto che – malgrado la norma di legge – il numero dei mancati rinnovi si è rivelato eccessivo.
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Questure non in grado di essere operative
Permessi di soggiorno, la tassa non è più dovuta
Lo scopo di fondo alla base della mobilitazione è quello di “evitare che decine di migliaia di persone finiscano nelle mani del racket del lavoro nero e del grave sfruttamento”. La crisi economica in Italia, infatti, ha colpito duramente anche il lavoro degli stranieri negli ultimi 8 anni, tanto che il tasso di disoccupazione degli stranieri ha raggiunto quota 17%. Dal 2008 sono tantissimi i cittadini di Paesi Terzi che hanno perso il lavoro e non sono riusciti a trovarne uno nuovo entro un anno – termine previsto dallo Stato italiano per trovare una nuova occupazione. Come risultato, una parte di loro è dovuta andarsene per cercare lavoro all’estero. La maggior parte, però, è finita nella trappola del lavoro sommerso, un tunnel da cui è difficilissimo uscire ed in cui vengono cancella i diritti fondamentali, civili e del lavoro.
Questi dunque, in estrema sintesi, gli obiettivi alla base della protesta di oggi, 28 giugno: proroga a due anni della durata del permesso di soggiorno per attesa occupazione; sanare le posizioni dei migranti che hanno già perso il permesso di soggiorno; lotta al lavoro nero ed al grave sfruttamento che ne scaturisce.
Grande partecipazione alla giornata di mobilitazione. Tra le città e i territori che hanno finora aderito, rende noto la Cgil, ci sono Agrigento, Alessandria, Alto Adige, Ancona, Aquila, Arezzo, Asti, Avellino, Bari, Belluno, Benevento, Bergamo, Biella, Bologna, Brescia, Brianza, Brindisi, Caltanissetta, Campobasso, Caserta, Catania, Chieti, Como, Cosenza, Cremona, Cuneo, Firenze, Frosinone, Genova, Imperia, Latina, La Spezia, Lecco, Legnano, Lodi, Mantova, Messina, Milano, Monza, Napoli, Novara, Padova, Palermo, Perugia, Pescara, Potenza, Ragusa, Roma, Rovigo, Salerno, Savona, Siracusa, Sondrio, Taranto, Teramo, Ticino Olona, Torino, Trapani, Treviso, Trieste, Valle Camonica, Varese, Venezia, Verbania, Vercelli, Verona, Vicenza.
I patronati chiedono chiarezza
Sulla tassa dei permessi di soggiorno i patronati chiedono chiarezza. Il Ce.Pa. (raggruppamento dei Patronati Inca, Inas, Acli e Ital), ha sollecitato, con una lettera alla direzione centrale dell’immigrazione e della Polizia delle frontiere, una “comunicazione chiara e trasparente alle Questure e all’utenza” in merito alle novità introdotte dalla sentenza del Tar del Lazio del 24 maggio scorso in materia di rilascio e rinnovi dei permessi di soggiorno. Per i patronati, “l’assenza di informazioni utili ad adeguare il comportamento della macchina amministrativa secondo quanto disposto dal giudice sulla inesigibilità dell’ulteriore contributo, sta creando troppe ambiguità supportate da informazioni errate”.
I siti internet della Polizia di Stato, delle Poste, dei Comuni che illustrano i requisiti per l’ottenimento dei titoli di soggiorno, denunciano i Patronati, “non sono stati ancora aggiornati. Questo nonostante a oggi la pubblica amministrazione non possa esigere il pagamento di un ulteriore contributo che di fatto, per disposizione del Tribunale amministrativo, non esiste più”. Questa assenza di comunicazione, inizialmente giustificata con le esigenze di raccordo con gli altri ministeri (ministero delle Finanze in primis), sta generando “un danno a quegli stranieri che richiedono il permesso di soggiorno e pensano, affidandosi alle informazioni disponibili sui siti ufficiali delle amministrazioni, che questo sia ancora dovuto”. A oltre 20 giorni dalla sentenza che cancella l’ulteriore contributo “non è ammissibile che non siano state date indicazioni corrette per gestire le modifiche normative introdotte ma che, anzi, si insista nel diffondere messaggi ambigui o generatori di comportamenti scorretti”.