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“Il nostro Servizio sanitario nazionale non risponde più alle necessità e ai bisogni dei cittadini, ma a una burocrazia economica fatta banalmente a tavolino, attorno a numeri, conti e bilanci. Siamo i primi a voler riorganizzare la rete ospedaliera, però nel contempo vanno garantiti i servizi”. Così Rossana Dettori, segretaria confederale Cgil ai microfoni di Italia parla, la rubrica di RadioArticolo1. “Da qui al 2019, la quota di Pil destinata al Ssn scenderà sotto il 6,5%, percentuale che secondo l’Organizzazione mondiale della sanità mette a rischio la salute pubblica di un Paese – ha affermato la dirigente sindacale –. E già negli ultimi tre anni quel finanziamento si è ridotto progressivamente di oltre dieci miliardi, tanto da non garantire più i livelli essenziali e la qualità delle prestazioni su tutto il territorio, e conseguentemente il diritto alla salute dei cittadini. Da tempo, noi abbiamo chiesto unitariamente al Governo di aumentare i fondi, anche perché l’Ssn non è fatto solo da cure, ma anche da prevenzione e riabilitazione, ambedue assenti nei ragionamenti del ministero della Salute, eppure basilari, partendo dal principio che più previeni oggi e meno devi curare domani. Eppure, nella logica del ministro Padoan, mi pare che tutto questo non ci sia”.
“I cittadini toccano con mano che il servizio sanitario si è ridotto: hanno difficoltà ad accedere alle prestazioni, perché le dotazioni organiche sono periodicamente diminuite, perché la stabilizzazione dei precari non è ancora attuata, perché gli strumenti con cui gli operatori lavorano sono sempre minori. Tutto ciò determina il fatto che quasi 12 milioni di italiani non si curano più, perché non riescono più ad accedere al Ssn, a meno di non dover pagare ticket e superticket. Come Cgil, Cisl e Uil, abbiamo sollecitato un incontro alla ministra Lorenzin, ma lei fa finta di non vedere le nostre richieste. Oltre a maggiori fondi al settore, abbiamo chiesto l’abolizione dei superticket, una tassa impropria imposta agli utenti. Il Governo deve decidere che alcune fasce di popolazione vanno esonerate dalle prestazioni a pagamento, a cominciare dai soggetti in povertà, che sono ormai diversi milioni. Oltretutto, la gente che non si cura più rischia di estendere alcune patologie sul territorio, causando un problema endemico di salute pubblica: una di queste è la tubercolosi, che pensavamo di aver debellato per sempre”, ha aggiunto la sindacalista.
“Un altro grave problema riguarda i livelli essenziali di assistenza (Lea ) delle regioni, assai diseguali dopo che nel 2016 ben 4 miliardi di risorse per la salute dell’Italia meridionale sono andati alle regioni del Nord, considerando che i cittadini delle regioni del Sud si sono spostati al Nord per curarsi, sobbarcandosi le spese di viaggio e permanenza, e l’Ssn delle regioni di provenienza ha dovuto comunque pagare le cure per quei cittadini alle regioni più ricche: un abominio. Anche questo è un tema che poniamo all’attenzione del governo, ma anche dei presidenti delle regioni del Mezzogiorno, che si devono far carico di riorganizzare il servizio sanitario sui loro territori. Oltretutto, non è vero che non ci siano strutture di eccellenza nel Sud, il problema è che la sfiducia dei cittadini meridionali è in aumento, e poi c’è il fatto che nel Mezzogiorno si è pensato a riorganizzare la rete ospedaliera tralasciando la rete territoriale, che è molto importante. Sulla situazione del Ssn nelle regioni del Sud faremo un’iniziativa specifica con Cisl e Uil. Le regioni devono coinvolgere di più sindaci e comuni per valutare assieme il fabbisogno di salute dei cittadini e costruire le risposte da dare. Ad esempio, si può partorire nella casa della salute del territorio o addirittura a casa, perché hai attivato una rete territoriale in grado d’intervenire efficacemente, senza dover più ricorrere necessariamente all’ospedale”, ha concluso la segretaria confederale.