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“Qui succede Casamicciola”. Questa locuzione, nell’area napoletana, è frequentemente usata per indicare il rischio di una grave catastrofe e sembra che anche Eduardo Scarpetta se ne servì in un suo testo teatrale dell’inizio del Novecento. A originarla è stato il terribile terremoto che nel 1883 colpi l’isola di Ischia, e in particolare Casamicciola, causando crolli e distruzioni che significarono la morte per 2.300 dei 4 mila abitanti. Il terremoto di origine vulcanica di magnitudo 4 che il 21 agosto scorso ha colpito Ischia, e in particolare i comuni di Casamicciola e Lacco Ameno, provocando l’abbassamento di 4 centimetri del suolo, 2 morti, 42 feriti e circa 1.500 sfollati, non è dunque un evento unico. Dal 1275 l’isola è stata interessata da 12 sismi, di magnitudo 3-4, come risulta dal catalogo dei terremoti italiani. Siamo, dunque, di fronte a un evento che si ripete, anche se con non altissima frequenza e, con i necessari adattamenti, questa affermazione vale per gran parte del nostro territorio.
Se ci riferiamo all’Italia nel suo insieme, oltre il 40% dei comuni si trova in aree a rischio sismico, mentre sono 7.145 (88,3% del totale), i comuni a rischio frane e/o alluvioni e, in ben 7 regioni, il 100% dei comuni è a rischio idrogeologico. Secondo il Rapporto dissesto idrogeologico in Italia (Ispra 2015), “le frane censite nell’Inventario dei fenomeni franosi in Italia sono 528.903 e interessano un’area di 22.176 chilometri quadrati, pari al 7,3% del territorio nazionale”, mentre “supera i 7 milioni il numero degli abitanti residenti in aree a rischio frane e alluvioni (12% del totale), dei quali oltre un milione vive in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata (P3 e P4), mappate nei Piani di assetto idrogeologico (Pai), e quasi 6 milioni vivono in zone alluvionabili classificate a pericolosità idraulica media P2 con un tempo di ritorno fra 100 e 200 anni (perimetrate nell’ambito della Direttiva alluvioni)”.
Nelle previsioni si parla, in realtà, di probabilità di eventi sismici nei prossimi 50 anni fin oltre il 30% e ancora più elevate sono quelle relative ai disastri idrogeologici. Si tratta di probabilità non piccole di fronte alle quali un comportamento maggiormente orientato alla prevenzione sembrerebbe razionale. E ancor di più sarebbe così se si tenesse conto degli enormi danni che possono verificarsi al concretizzarsi dell’evento. Con l'ultimo terremoto di Ischia i danni sono stati consistenti, malgrado la bassa intensità del sisma. È accaduto che gli effetti dello scuotimento sugli edifici sono stati amplificati dal cosiddetto effetto sito, cioè dalla presenza di terreni non consolidati. Tuttavia ciò che più colpisce – anche se non si tratta di una novità – è la presenza di crolli puntuali, cioè a macchia di leopardo: case e chiese rase al suolo contigue ad abitazioni che, pur lesionate, hanno resistito.
È evidente che i danni complessivi dipendono in larga misura dallo stato degli edifici e qui emerge un punto molto debole del nostro Paese. Il solo Piano Casa Italia ha individuato oltre 500 mila edifici, in 650 comuni, esposti a un rischio elevato. Peraltro, un recente dossier dell’Ordine degli ingegneri di Roma indica come l’80% degli edifici della capitale abbia più di 80 anni, quindi sia stato edificato prima della legge degli anni settanta sui requisiti antisismici; per questo motivo necessiterebbe di approfondite verifiche di stabilità. Ciò vale, naturalmente, non soltanto per la città di Roma. Appare più che appropriato, dunque, chiedersi perché tutto questo accada e se la razionalità non richiederebbe altro, in particolare un investimento enormemente maggiore di risorse pubbliche e private nella prevenzione dei danni che un evento naturale poco probabile, ma catastrofico, potrebbe determinare.
Per tentare una risposta, un utile punto di partenza sono i numerosi studi che dimostrano come gli individui tendano a non valutare correttamente le probabilità quando queste sono piccole e a tenere un comportamento diverso di fronte a perdite estese (risk taking) e a guadagni improvvisi (risk averse). La ricca letteratura scientifica su questi temi è stata originata da Kahneman e Tversky, che con la prospect theory e il reference point hanno razionalizzato l’esistenza di una curva dell’utilità attesa a forma di S rovesciata, cioè con preferenza al rischio per le perdite e un’avversione al rischio per le vincite. In tal modo, essi danno conto della relativa insensibilità dei comportamenti rispetto a eventi negativi cui si attribuisce una bassa probabilità. Vi è, quindi, un problema di distorta percezione del rischio in presenza di questi eventi estremi e di tendenza a vedere il rischio in termini di feeling (risk as feeling), cioè di emozioni e affetti che trasformano l’incertezza e le sue conseguenze in ansia o paura e limitano la capacità di assegnare un valore alle prevedibili conseguenze.
Una singola morte è una tragedia, un milione di morti è una statistica (psychological numbing). Non solo: si genera la tendenza a intraprendere una singola azione che riduca l’ansia o la paura, piuttosto che un insieme di azioni in grado di ridurre efficacemente il rischio (single action bias). Si potrebbe, dunque, spiegare in questo modo la poco razionale condotta nei confronti di eventi naturali catastrofici, che si manifesta nei comportamenti dei singoli, e anche negli orientamenti della politica. Per invertire questa tendenza un primo passo potrebbe essere quello che consiste nel cercare di correggere questa forma di “distorsione cognitiva” facendo uso dei nudge, cioè di quelle spintarelle che aiutano a compiere le scelte migliori per se stessi, di cui hanno parlato per primi Thaler e Sunstein (“Libertarian Paternalism”, American Economic Review, 2003).
In questo caso, il nudge potrebbe consistere nella “umanizzazione del rischio”, cioè nel collegare la probabilità dell’evento ad altri che sono più familiari. La probabilità stimata di un’eruzione pliniana del Vesuvio, pari all’11%, potrebbe attivare reazioni diverse se venisse presentata (naturalmente rispettando quel che si conosce) come la probabilità tripla di morire in un incidente stradale o di prendere 100 all’esame di maturità. L’effetto potrebbe essere quello di attivare azioni di prevenzione, tra le quali rientra quella che consiste nella sottoscrizione di un’assicurazione contro i disastri naturali.
L’esistenza del problema trova numerose conferme e non soltanto nel nostro Paese. Le recenti inondazioni nel Texas hanno provocato danni immensi in gran parte a carico di chi non aveva alcuna assicurazione. Il riferimento a questo disastro è utile anche perché permette di ricordare che negli Stati Uniti l’assicurazione contro le inondazioni è obbligatoria esclusivamente nelle aree in cui si è verificata almeno un’inondazione negli ultimi 100 anni e soltanto se la casa è gravata di un’ipoteca garantita dallo Stato. Peraltro, l’agenzia che gestiste l’assicurazione (Nfip) non riesce a coprire tutti i danni, come è facile che accada se la base degli assicurati è ristretta.
Tenendo conto di tutti questi aspetti la strada da seguire sembra essere quella che combina l’uso del nudge per creare maggiore consenso attorno all’ipotesi di assicurazione obbligatoria con l’adozione di quest’ultima misura, evitando però di restringerla ad aree in cui, sulla base di una concezione frequentista, si ritiene che la probabilità del disastro sia sufficientemente elevata. Inoltre, nella definizione dei dettagli si dovrebbe prestare attenzione particolare alle conseguenze distributive dell’assicurazione, prevedendo sostegni pubblici per coloro che dispongono di redditi limitati e tutele per gli affittuari economicamente più deboli.
Altre strade sembrano destinate all’insuccesso. In un precedente articolo avevamo dubitato dell’efficacia di provvedimenti fiscali (crediti d’imposta) volti a incentivare gli interventi di ristrutturazione sulle case, e i motivi erano due: l’alto costo degli interventi e il basso valore dell’imponibile medio soggetto a tassazione Irpef per il 90% dei contribuenti (solo 4 milioni di persone su oltre 41 milioni dichiarano redditi superiori a 35 mila euro). Quel che è accaduto da allora conferma i nostri timori e rafforza le ragioni a favore dell’assicurazione obbligatoria degli immobili contro le calamità naturali, tra le quali vi è il fatto che per sottoscrivere una tale assicurazione occorrerebbe mettere a norma l’immobile, con effetti positivi anche sul fronte del contrasto dell’abusivismo.
Marcello Basili è professore associato di Economia politica all’Università di Siena; Maurizio Franzini è professore ordinario di Politica economica alla Sapienza Università di Roma