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“Alla faccia della lotta alla povertà. Alla Commissione Lavoro della Camera è appena arrivato un disegno di legge delega del governo che contiene un punto molto controverso che agita non poco gli animi di chi un domani potrebbe, suo malgrado, avere diritto alla pensione di reversibilità”. Scoppia la polemica sul disegno di legge che riordina le prestazioni di natura assistenziale e previdenziale come strumento unico, nell'intenzione del governo, di contrasto alla povertà con misure legate al reddito e al patrimonio. A lanciare l'allarme per primo è stato il segretario generale dell Spi Cgil, Ivan Pedretti, in un intervento pubblicato lo scorso 12 febbraio sull'Huffington Post.
Nel ddl, infatti, tra le altre misure si prevede la possibilità di rivedere le pensioni di reversibilità, ovvero quelle erogate agli eredi alla morte del pensionato o del lavoratore che muore avendo maturato i requisiti per l'assegno. In altre parole, cancellare le pensioni di reversibilità significa cancellare, da parte dello Stato, ogni residuo legame legale tra due coniugi dopo la morte di uno dei due. E, questo provvedimento, diventa ancora più ingiusto se si pensa che per la maggior parte riguarda le donne rimaste vedove.
“Provo a spiegarlo – scrive Pedretti – con parole semplici, vista la complessità della materia: secondo questo disegno di legge, le reversibilità vengono considerate prestazioni assistenziali e non più previdenziali. Che cosa significa e che cosa comporta tutto questo? Significa che l’accesso alla pensione di reversibilità d’ora in poi sarà legata all’Isee, per il quale conta il reddito familiare e non quello individuale. Di conseguenza il numero di coloro che vi avranno accesso inevitabilmente si ridurrà e saranno tante le persone che non si vedranno più garantito questo diritto”.
Questo a suo giudizio “non è solo profondamente ingiusto ma è anche tecnicamente improprio e rischia di aprire un contenzioso anche a livello giuridico. La pensione di reversibilità infatti è una prestazione previdenziale a tutti gli effetti, legata a dei contributi effettivamente versati. Che in molti casi quindi sparirebbero nel nulla, o meglio, resterebbero nelle casse dello Stato. In parole povere una sorta di “rapina” legalizzata. Perpetrata soprattutto ai danni delle donne perché l’età media degli uomini è più bassa e la reversibilità è quindi una prestazione che riguarda soprattutto loro”.
“Donne che – osserva ancora Pedretti – oltretutto sarebbero doppiamente colpite perché, come è a tutti noto, hanno una pensione mediamente inferiore a quella degli uomini. E che in futuro rischiano quindi di impoverirsi ulteriormente. Un vero capolavoro, insomma. Uno sfregio che mi auguro possa essere ritirato nella discussione che si aprirà a breve nella Commissione Lavoro. Ne vale del futuro pensionistico di tante persone e della dignità di un governo che non può pensare di fare cassa sulle spalle delle vedove”.
“Ci sono i margini per modificarlo ed è quello che interessa a noi. Ma serve la volontà politica. Se non ci saranno riscontri positivi non staremo di certo fermi a guardare”, aggiunge il segretario dello Spi su Facebook.
Da segnalare anche la presa di distanza di Cesare Damiano, presidente della Commissione lavoro della Camera ed esponente della minoranza Pd. ll provvedimento, spiega l'ex ministro del Lavoro, è “in sé positivo, ma prevede la possibilità di tagliare le pensioni di reversibilità. Per noi questo non è accettabile: si tratterebbe dell'ennesimo intervento dopo quelli, pesanti, del governo Monti. La previdenza – aggiunge – non può essere considerata la mucca da mungere”.