PHOTO
In principio era la riforma del Titolo V della Costituzione approvata dal governo di centro-sinistra nel 2001. Prevedeva, quella riforma, che ai sensi del “nuovo” articolo 116 della Carta le Regioni a statuto ordinario potessero chiedere “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117”, “nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119”. Non si tratta di quisquilie, ma di materie fondamentali per la tenuta unitaria del Paese. Qualche esempio: scuola, sanità, ricerca, infrastrutture, beni culturali, ambiente, professioni, previdenza integrativa, sicurezza sul lavoro e altro ancora che, con relative risorse, dalla competenza statale potrebbero passare a quella regionale.
Tutti temi su cui negli scorsi anni – con un’accelerazione rispetto ai precedenti, visto che la riforma è appunto del 2001 – si è scatenata la brama autonomistica delle Regioni del Nord, in particolare di quelle a trazione leghista. Il Veneto, ad esempio, ha chiesto autonomia su tutte e 27 le materie possibili; la Lombardia si è “fermata” a 23 e anche Piemonte ed Emilia-Romagna si sono mosse in questa direzione con accordi raggiunti col governo. La Cgil su questa partita così importante per la tenuta del paese ha sempre avuto una posizione precisa: niente autonomia differenziata se prima non sono stati definiti i Lep, cioè i Livelli essenziali delle prestazioni. Tradotto: prima di procedere con le differenziazioni, bisogna far sì che a tutti i cittadini in tutte le aree del Paese siano garantiti livelli essenziali di diritti e prestazioni.
Una battaglia non semplice da portare avanti, anche perché finora nel Paese non s’è visto un dibattito pubblico all’altezza del tema in gioco.Qualche risultato importante, anche se non ancora sufficiente, si è però appena raggiunto, con la proposta di legge quadro che il ministro per gli Affari regionali e le autonomie, Francesco Boccia, ha presentato nei giorni scorsi ai sindacati. “Abbiamo apprezzato il fatto che il ministro ha tenuto conto delle nostre osservazioni e che, soprattutto, ha ribadito con forza che il tutto debba rimanere dentro a una cornice unitaria e che dunque non ci sarà alcuno smembramento o frazionamento dei diritti. Insomma. I diritti sociali e civili devono essere garantiti in maniera uniforme in tutto il paese”, dice Rossana Dettori, segretaria confederale della Cgil e responsabile della materia.
E per quanto riguarda i Lep?
Dettori Su alcune delle materie per le quali le Regioni hanno totale autonomia il ministro ha posto il vincolo dei Lep. Vorrei sottolineare un aspetto: livelli essenziali, non minimi.
Un po’ come i Lea, cioè i Livelli essenziali di assistenza, in medicina...
Dettori Esatto. Sappiamo certamente che nella sanità le risorse hanno influito sui diritti dei cittadini, però un cittadino italiano in qualunque territorio si trova sa che se va in ospedale deve essere curato, non gli si può dire di no. Se ha bisogno di una visita specialistica, magari deve pagare il ticket, però sa che ne ha diritto ovunque egli si trovi.
Ci fai un esempio di cosa significa livello essenziale che non sia in sanità?
Dettori Semplice. Oggi gli asili nido sono a un livello minimo in molti territori, specialmente al Sud. Nel momento in cui si faranno i Lep, l’accesso al nido diventa universale: un diritto di tutti i bambini per il quale lo Stato contrae un dovere con i cittadini. Ma ci sono altri ambiti in cui i Lep sono fondamentali, ad esempio il trasporto pubblico locale. Per godere di servizi fondamentali, come ad esempio quelli degli ospedali, bisogna poterci arrivare e non necessariamente con un mezzo di trasporto privato. Tra le altre garanzie che abbiamo ricevuto c’è anche quella che l’istruzione non si tocca.
Materia su cui il Veneto e la Lombardia hanno un approccio particolarmente “aggressivo”…
Dettori Si tratta di un tema delicatissimo. Si correva non solo il rischio di avere vere e proprie gabbie salariali per gli insegnanti, ma di fornire una formazione differenziata agli studenti, che magari non era spendibile fuori dal territorio. Le articolazioni possono esserci, ovviamente, ma vanno pensate all’interno dell’autonomia scolastica, che è un’altra cosa.
L’altra acquisizione importante che avete conquistato è la caduta del vincolo dei 12 mesi…
Dettori Sì. Nella precedente norma c’era scritto che dopo 12 mesi, se non venivano definiti i Lep, le Regioni potevano procedere con l’autonomia differenziata. Cosa che tranquillizzava i governatori: nessuno, dopo 19 anni di attesa, si aspettava che in 12 mesi si potessero fare i Lep. Altra cosa importante è che la definizione dei Lep non è più in capo a un commissario; sono i ministeri che hanno questo compito e, solo se non ci riescono, verrà chiesto a un soggetto terzo di intervenire. Come parti sociali abbiamo chiesto e ottenuto di confrontarci con i ministri, cosa che prima non c’era. Insomma, si dovranno aprire dei tavoli.
Alcune Regioni – Emilia Romagna, Lombardia e Veneto – avevano già siglato accordi sull’autonomia differenziata con il governo Gentiloni. Cosa ne sarà di questi articolati?
Dettori Non varranno più, si ricomincia, appunto, con un percorso democratico che coinvolgerà commissioni e aule parlamentari. Per noi che ci sia un dibattito su un tema del genere è fondamentale. Il percorso è chiaro: definizione dei Lep, legge quadro in Parlamento e poi anche gli accordi tra Stato e singole Regioni dovranno avere un loro iter parlamentare. Il Parlamento è il luogo della rappresentanza ed è necessario che di questi argomenti così importanti si dibatta in quella sede.
Fin qui le luci, ma avete segnalato anche delle ombre che persistono...
Dettori Abbiamo detto con forza al ministro che questa riforma non si può fare a costo zero, perché se procedi in questo modo aumenti le diseguaglianze nel paese che non sono solo tra Nord e Sud, ma anche tra diverse zone delle stesse aree territoriali. In questo senso giudichiamo positiva la previsione di un primo stanziamento per la perequazione infrastrutturale. Tuttavia, occorre prevedere stanziamenti di risorse sufficienti a rendere esigibili i Lep, e non invece definire questi ultimi in funzione delle risorse già stanziate. Quindi, non si possono storicizzare le risorse attuali. Insomma: i diritti devono essere garantiti a tutti e per essere garantiti devono essere finanziati. Il ministro è d’accordo, ma vogliamo capire davvero quanti soldi servono, dove si prendono e come si distribuiscono. La questione è tutta aperta.
Nella legge quadro non per tutte le materie oggetto di possibile autonomia differenziata sono però previsti i Lep. Si tratta di temi molto importanti, come l’ambiente e le infrastrutture. Come si procede in questi casi?
Dettori In questi casi abbiamo chiesto che siano definite, laddove non esistano, leggi quadro che stabiliscano una cornice uniforme che debba valere per tutto il paese. Penso, ad esempio, ai livelli di smog, al consumo del suolo. La logica è sempre la stessa: le Regioni possono migliorare, ma ci deve essere un livello essenziale garantito a tutti i cittadini italiani. Se si fissa un’asticella che fissa il limite massimo di smog, questo deve valere ovunque.
Riesci a prevedere dei tempi?
Dettori Siamo contro qualsiasi forma di accelerazione. Sono temi su cui riflettere e coinvolgere i cittadini. È incredibile che quasi nessuno sappia di cosa si stia parlando.
Lombardia e Veneto però hanno fatto dei referendum sull’autonomia differenziata…
Dettori Vero, però dipende anche da cosa scrivi sulle schede. Se il quesito è: “Vuoi che i servizi nella tua Regione migliorino”, cosa vuoi che rispondano le persone? Se a un insegnante chiedi se vuole guadagnare di più, credi che potrà dire di “no”? Insomma, i quesiti sono stati giocati sulla pancia delle persone, non sulla testa. Torniamo al punto iniziale: un conto è dire che alle Regioni si danno maggiori poteri amministrativi, un altro che i diritti delle persone sono diversificati a seconda di dove si vive.