PHOTO
Se in questi giorni, a differenza dei casi precedenti, le inchieste e gli arresti in Abruzzo hanno acceso i riflettori sulla ricostruzione pubblica dopo il terremoto - i palazzi istituzionali e i monumenti - la causa non è soltanto la fame di denaro e ricchezza di qualche impresa o funzionario pubblico. Quanto accade è favorito da leggi che non funzionano, da norme sugli appalti pubblici che vanno cambiate. Ancora una volta la Cgil è costretta a ricordare che gli appalti al massimo ribasso sono un meccanismo che non funziona. Che non aiuta la qualità delle opere, che espone a rischi le imprese oneste, non garantisce le maestranze e favorisce la corruzione.
Un esempio? Proprio la vicenda messa in luce dall’ultima inchiesta aquilana, ovvero il fatto che prima si assegna un appalto pubblico al massimo ribasso (i lavori cioè, in teoria, si affidano alla ditta che per eseguirli chiede meno denaro) ma successivamente, durante le varie fasi di esecuzione, la ditta vincitrice recupera il denaro chiedendo e ottenendo varianti ai lavori. Un meccanismo legittimo, ovviamente, ma nell’inchiesta i giudici hanno evidenziato che l’ammontare delle varianti in corso d’opera non raggiunge il 20% del valore dell’appalto. Infatti, se il valore raggiungesse il 20%, una variante, per legge, dovrebbe essere trasmessa all’Anac, l’Autorità nazionale anticorruzione. Tra le accuse mosse ai vari soggetti coinvolti c’è proprio questa: l’aver tenuto il valore economico delle singole varianti sotto il limite del 20% per evitare il controllo dell’Anac.
Accanto a questo c’è un altro problema fondamentale, che la Cgil sta ponendo fin dall’inizio della ricostruzione aquilana e che interessa tutti i lavori, sia pubblici che privati. Cgil e Fillea (il sindacato degli edili, ndr), come si ricorderà, più volte hanno promosso inchieste e indagini che hanno fatto luce su fenomeni di sfruttamento e caporalato nei cantieri privati. Ma anche qui poniamo una domanda: come si tutelano i lavoratori delle aziende che sfruttano le maestranze e chiudono i cantieri dopo essere finite nel mirino dei magistrati? La legalità al primo posto dunque, con iniziative delle quali il sindacato è stato e sarà ancora protagonista.
Resta il problema però di non far pagare soltanto ai lavoratori (peraltro quelli delle ditte finite sotto inchiesta per sfruttamento) per il comportamento illecito del loro impresario. Ovvero: a quali ammortizzatori sociali si sta pensando per non lasciare nella disperazione gli operai? Una battaglia che la Cgil continuerà, ma che deve interrogare anche la politica e le istituzioni.
E neppure possiamo sottacere il fatto che un indagato in una intercettazione telefonica afferma che per ottenere un incarico dal ministero dei Beni culturali ha provato ad utilizzare l’influenza e le pressioni del suo sindacato. Un episodio che ricordiamo per sottolineare ancora una volta il comportamento lineare e coerente che la Cgil e altri sindacati hanno tenuto nel corso della ricostruzione, e per chiedere che di quel sindacato sia fatto nome e cognome, rendendone noto (se c’è) ogni coinvolgimento in questa brutta vicenda.
Per concludere poche parole sulle risate di chi pensava agli affari della ricostruzione. La rabbia è tanta, certo, ma vogliamo esprimere anche solidarietà e vicinanza, tanto più sentite da chi una tragedia l’ha già vissuta sulla propria pelle, come la provincia aquilana terremotata nel 2009. Una solidarietà vera, non di maniera, verso Amatrice e i territori vicini e “fratelli” dell’Italia centrale, quelli sui quali nell’ultimo anno si sono accanite le scosse dei terremoti.
* Sandro Del Fattore è segretario generale della Cgil Abruzzo
* Umberto Trasatti è segretario generale della Cgil L’Aquila