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Le acciaierie Aferpi di Piombino passano di nuovo di proprietà. È stato firmato giovedì scorso l'accordo tra l'algerina Cevital di Issad Rebrab e il gruppo indiano Jindal South West, dopo una trattativa di due mesi e mezzo. Il closing ufficiale dell'operazione è atteso tra circa trenta giorni e in molti manifestano prudenza, ma certo il gruppo indiano ha tutt'altra esperienza in campo siderurgico e prospetta un piano industriale realistico e di più ampio respiro.
La cifra pagata da Jws è di 55 milioni di euro, a cui bisogna aggiungere altro denaro legato alla valorizzazione del circolante, per un totale che dovrebbe attestarsi intorno ai 90 milioni. L'accordo inoltre prevede un contributo regionale di 30 milioni per la modernizzazione ambientale ed energetica del ciclo produttivo, come già previsto nell'accordo di programma del 2014, e ulteriori 15 da parte del Mise per migliorare le condizioni di insediamento; in più sono incluse le concessioni portuali di cinquanta anni, una riduzione dei costi energetici e una soluzione per la bonifica ambientale del sito.
Da parte sua Jsw presenterà il piano industriale completo nelle prossime settimane, ma già alcuni punti sembrano chiari. L'accordo prevede l'immediata ripresa della produzione dei laminatoi, supportata dagli impianti in India con la fornitura di billette e blumi. Solo in un secondo momento è previsto il rilancio dell'area a caldo, mediante l'installazione di un forno elettrico da circa un milione di tonnellate l'anno, alimentato a rottame e pre-ridotto, competitivo sul piano dei costi e a ridotto impatto ambientale, così da rendere il sito completamente integrato.
L'intenzione sembra quella di realizzare circa un milione e mezzo di tonnellate, con un quarto laminatoio e un secondo forno. Investimenti e piani tutti legati però a studi di fattibilità tecnica e finanziaria. Nella prima fase potrebbero essere riattivati 700-800 posti, su cui far ruotare i lavoratori Aferpi. Al termine del piano, entro forse 24 mesi, lo stabilimento dovrebbe essere in grado di occuparne almeno 1.500. Tutte indiscrezioni che attendono la conferma dalla presentazione ufficiale del piano industriale. Ma è naturale che dovranno aprirsi tavoli di lavoro per sindacati e governo per tenere sotto controllo investimenti e operazioni e garantire gli stessi livelli occupazionali e gli ammortizzatori necessari per completare la delicata ristrutturazione.
“Si tratta di capire se con uno o due forni, se con tre o quattro treni di laminazione – afferma Mirko Lami, della Cgil Toscana ed ex operaio Lucchini –. Aspetto di vedere i fatti e spero che inizi un nuovo ciclo per tornare a produrre acciaio e che tutti i 1.950 dipendenti di Aferpi passino a Jindal. Poi spero ci saranno anche risposte per l'indotto: vediamo cosa dirà il piano industriale, che sarà analizzato nei minimi dettagli e che dovrà prevedere tutta la strumentazione per la produzione dell'acciaio e, quindi, il maggior numero di dipendenti possibili. Non escludo che saranno necessari degli ammortizzatori, magari a rotazione, perché, presumo, ci vorranno tempi lunghi per mettere tutto a posto”.
È una firma arrivata forse addirittura con tre anni di ritardo. Tre anni persi, in cui uno stabilimento e la città che gli sta intorno sono rimasti sospesi in attesa che la produzione e il lavoro ripartissero. Era l'estate del 2015 quando la Jindal South West era già pronta a rilevare gli assets della ex Lucchini dall'amministrazione straordinaria, ma fu superata all'ultimo da Cevital, con un progetto da oltre un miliardo di euro, che comprendeva il rilancio dell’acciaieria e la diversificazione nel settore agroindustriale e della logistica.
Cevital acquistò lo stabilimento di Piombino e costituì Aferpi Spa che sta per Acciaierie e ferriere di Piombino. Inizia però un altro lungo periodo di crisi, dovuto alle difficoltà di Rebrab a esportare capitali dall'Algeria e trovare credito presso le banche. La conseguente carenza di capitale circolante provoca la marcia a singhiozzo degli impianti, fino alla completa inattività dei laminatoi. Uno stallo che oltre a esasperare lavoratori e sindacati, rischia di far uscire l'azienda definitivamente fuori dal mercato. Nel novembre del 2017, dopo ulteriori negoziati, proroghe e proteste dei lavoratori, il ministero stabilisce che gli accordi sottoscritti non sono stati rispettati da Cevital, in difficoltà finanziaria e con evidenti problemi nella gestione di uno stabilimento siderurgico.
L'inattività spinge così il governo e l'amministrazione straordinaria ad aprire una battaglia legale: al Tribunale di Livorno chiedono la rescissione per inadempienza e il pagamento di danni per 80 milioni di euro. Il ministero però si dichiara disponibile a ritirare l'istanza nel caso Cevital trovi un partner credibile o ceda lo stabilimento. Perchè, se portato avanti, il contenzioso potrebbe inasprire la crisi, compromettendo forse irrimediabilmente la ripresa delle acciaierie, sopravvissute negli anni a molte crisi.
Nate nel 1865 per volontà di un gruppo di imprenditori, crebbero costantemente fino a diventare uno dei principali poli siderurgici d'Italia. A parte i drammatici scioperi del 1910-1911 e le rivendicazioni sindacali nel corso del '900, gli stabilimenti affrontarono la prima grave grande crisi “moderna” nel biennio '92-93. L'allora Italsider andò incontro alla dismissione statale, il primo caso di privatizzazione siderurgica in Italia. Oltre 700 operai si videro recapitare lettere di cassa integrazione, dopo mesi di tentativi per trovare un accordo sul piano di ristrutturazione tra i sindacati e il nuovo proprietario, il gruppo dell'imprenditore Luigi Lucchini.
I sindacati risposero con 38 giorni di occupazione degli impianti e dopo due drammatici referendum e ulteriori mobilitazioni riuscirono ad ottenere solo nel 1994 il reintegro di tutti i lavoratori, attraverso i primi contratti di solidarietà concessi in Italia. Nel 2003 arriva la crisi finanziaria del Gruppo Lucchini, indebitato per circa 800 milioni, e la gestione passa così a un commissario nominato dalle banche, Enrico Bondi. Ma Lucchini nel 2005 riesce a trovare un partner nella Severstal di Alexey Mordashov e per alcuni anni la nuova gestione sembra funzionare, con i bilanci positivi. Severstal è sul punto di potenziare gli impianti quando i venti di crisi spingono Mordashov tra il 2008 e il 2010 a ritirarsi dall'Italia e dall'Europa, lasciando il polo siderurgico in mano alle banche, con un debito di 770 milioni.
Pur cedendo pezzi pregiati del gruppo, l'azienda non è stata in grado di risollevarsi: la Lucchini brucia 800 milioni di cassa, finché nel dicembre 2012 viene concesso l'avvio delle procedure previste dalla legge Marzano. Il nuovo commissario straordinario è Piero Nardi, con l'incarico di salvaguardare i creditori e di trovare un compratore. Il primo bando di gara finisce con un nulla di fatto e dopo la fallita esperienza della giordana SMC dell'imprenditore Khaled Al Habahbeh, finita con una denuncia per turbativa d'asta, la nuova gara vede presentarsi proprio l'indiana Jindal. Il progetto però interessa solo i laminatoi e 750 operai ed è ritenuto insoddisfacente. A tempo scaduto ma con un piano più consistente si presenta l'algerina Cevital, che il 1° luglio del 2015 acquisisce la piena proprietà dello stabilimento. Con gli esiti di questi giorni ben noti a tutti.
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