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Le grandi aree metropolitane sono vittime, specialmente nei propri tessuti più periferici, di diffusi processi di degrado. Una condizione aggravata nel volgere di pochi anni dalla devastante crisi economica e dai suoi inevitabili effetti nella vita delle città, che hanno prodotto a loro volta a pesantisime ricadute in termini di emergenza sociale, abitativa e anche sul fronte della mobilità.
È partendo da questo assunto che i partecipanti al dibattito “Periferie urbane tra malessere e opportunità”, che si è tenuto questo pomeriggio all’auditorium fiorentino di Palazzo Panciatichi, nell’ambito delle Giornate del Lavoro, si sono interrogati e hanno discusso – moderati dal giornalista Marzio Fatucchi, del Corriere Fiorentino, e introdotti da Elena Battaglini, ricercatrice senior della Fondazione Giuseppe Di Vittorio –, con l’obiettivo di contribuire a individuare il modo migliore per innescare processi virtuosi di risanamento civile e sociale.
Ma per comprendere fino in fondo i profondi mutamenti che hanno investito negli ultimi anni la periferia, nelle grandi aree metropolitane come nelle piccole realtà di provincia, è necessario chiarirsi prima di tutto su di un versante meramente terminologico: “La periferia è un nome a dir poco improprio, che usano quelli che di periferia non sanno nulla – ha osservato l’architetto Massimiliano Fuksas –, o che l’hanno sempre vista da lontano. Si prenda una città come Roma: su circa 4 milioni di abitanti, solo poco più di 120 mila abitano nel centro storico. Cosa significa? Che quella che erroneamente si è soliti definire periferia, è la parte della città in cui vive la gran maggioranza delle persone. Brutta, fatta male quanto si vuole, ma è proprio su quella porzione considerata marginale delle nostre aree urbane che bisogna intervenire con più forza se vogliamo veramente cambiare la qualità dei rapporti sociali e umani delle città”.
La necessità di interventi nelle aree più periferiche delle città è complicata dal crescere del disagio sociale (negli ultimi anni la povertà è cresciuta sia al Nord che al Sud del paese), a cui è quasi pleonastico aggiungere il disagio nei confronti di un’inadeguata offerta di servizi, mobilità e qualità urbana. Un disagio, quest’ultimo, tutto da ascrivere alle responsabilità delle amministrazioni locali: “Bisognerebbe impegnarsi nel trovare una governance nuova delle città – ha detto ancora Fuksas –, perché chi ha aministrato fino a oggi, lo ha fatto generalmente male; serve una volontà comune che pianifichi un nuovo concetto di città”.
Sulla stessa lunghezza d’onda di Fuksas, l’imprenditore Alfio Marchini. Che non ha rinunciato a una stoccata nei confronti dell’attualità politica capitolina: “Se si decide di delegare a una cooperativa completamente estranea alla storia di un determinato territorio la cura del patrimonio verde e dei giardini – ha osservato – non c’è da meravigliarsi se questa poi si impegna a conseguire solo il proprio tornaconto economico, con risultati che si rivelano spesso deludenti o, addirittura, disastrosi. Ormai è noto, a Roma come a Milano, i cittadini sentono di appartenere più al loro quartiere che al più generale tessuto urbano: bisogna consegnare a chi abita un determinato contesto cittadino la gestione dei propri interessi particolari”.
A spiegare le peculiarità di un contesto periferico nell’ambito di un piccolo centro lontano dalle metropoli urbane, ci ha pensato Matteo Biffoni, sindaco di Prato. Pure lui in sostanziale sintonia con le analisi dell’architetto Fuksas: “Anche la nostra periferia – ha commentato il primo cittadino pratese – coincide per buona parte con l’intero tessuto cittadino. Con un paradosso, che è comune a molte altre piccole realtà: da noi la periferia è generalmente a posto, con i giardini pubblici, i servizi, le piazze ben tenute. È il nostro centro storico a destare le maggiori preoccupazioni: decine di migliaia di persone della sola comunità cinese, più che a Parigi, un’autentica Chinatown, vitale, ma disordinata. È soprattutto lì che, a differenza che a Milano, Torino e a Napoli, abbiamo più lavoro da fare per ripristinare buoni livelli di convivenza e di qualità nella vita cittadina”. (G.I)