“Dobbiamo decidere che cosa vogliamo fare: un'accoglienza che crea futuro oppure una difesa che crea illegalità. E poi uscire dalla logica dell'emergenza e della paura per dare risposte sicure e all'altezza della situazione”. Non ha dubbio monsignor Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana e arcivescovo di Bologna, don Matteo come vuole farsi chiamare, intervenuto al 19° congresso nazionale della Cgil a Rimini per parlare di immigrazione e delle politiche italiane messe in campo per affrontarla e gestirla.
“Vi ricordate di Jerry Masslo, scappato dal Sudafrica e ucciso 23 anni fa a Villa Literno mentre cercava di difendere i pochi risparmi accumulati insieme ai suoi compagni? - riprende Zuppi -. Quella vicenda ci deve indicare i percorsi da costruire, con un umanesimo che dobbiamo difendere e che è l'dentità più vera del nostro Paese”.
Secondo il monsignore, la prima cosa da fare è salvare le vite e non mettere labirinti che complicano questa attività perché il mare è un pericolo. E poi realizzare sistemi di accoglienza, in grado anche di dare legalità e legittimazione a quanti sono nel nostro territorio, non lasciarli nel limbo, come adesso accade. “Noi ci occupiamo dei migranti fino alla banchina del porto – aggiunge don Matteo -. Dopo, si spengono i riflettori e quelle persone vanno a lavorare nei campi per 5-9 euro al giorno, finendo nei meccanismi del lavoro nero e sfruttato. Non possiamo fermarci all'emozione e all'emergenza, la politica e insieme il sindacato, deve costruire percorsi di solidarietà capaci di sconfiggere le cause della povertà e delle disuguaglianze”.
Infine, un messaggio per la pace rivolto anche al sindacato e alle sue azioni, per non fermarsi nella ricerca del dialogo: "Non possiamo abituarci alla guerra - conclude Zuppi -, a questo terribile conflitto, come agli altri che sono in atto. Ci vuole un impegno fortissimo per salvare vite. Partiamo dal grande appello di Papa Francesco a Putin in nome del suo popolo: cessare il fuoco e accettare proposte giuste, dove giusto non è aggettivo casuale, nella convinzione che la pace vada insieme alla giustizia".