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“Di questi referendum condivido tutto. In particolare i quesiti che vogliono contrastare una realtà che si è andata affermando dal 2014 e che ha dato maggiore impulso alla precarietà e alla frammentazione del lavoro”.
A parlare è Laura Pennacchi, economista, più volte parlamentare, sottosegretaria al Tesoro nel primo governo Prodi, coordinatrice del Forum economia della Cgil e direttrice della “Scuola per la buona politica” della Fondazione Basso. “Questo mi pare l’obiettivo più rilevante dei quattro quesiti – aggiunge -, frenare precarietà e frammentazione”.
Perché?
Perché l’occupazione è, sì, aumentata in valori assoluti, ma è cresciuta tantissimo quella a termine, i part time involontari, in cui le donne sono sovra-rappresentate, il lavoro non tutelato. Ecco, le disposizioni del Jobs Act hanno contribuito a raggiungere questo risultato. E mentre c’è un incremento delle forme contrattuali atipiche e molto sfavorevoli per i lavoratori, le retribuzioni restano basse, molto più della media europea. Al di sotto della media sono comunque anche i tassi di occupazione generale. Poi ci sono il problema della disoccupazione giovanile, e quello, enorme, di quanti non studiano e non lavorano.
Questa situazione quale Paese ci restituisce?
Un Paese che rimane molto al di sotto delle sue possibilità. Non ci deve meravigliare che dal punto di vista della crescita del Pil e della produttività siamo all’ultimo posto delle classifiche europee, peggio di noi c’è solo la Grecia. Su questo aspetto così importante siamo in difficoltà.
Secondo lei il referendum è lo strumento adatto?
Sì, il referendum può essere lo strumento giusto, ma non basta. Ci sono aspetti specifici come quello affrontato dal quarto quesito, che chiede l’associazione nella responsabilità delle aziende per infortuni e incidenti che accadono nel mondo degli appalti, che sono norme di civiltà minime. Ottime ragioni per sostenere questa battaglia. Ma è necessario che su queste grandi tematiche, una volta poste al centro dell’attenzione e del dibattito politico, ci sia anche una mobilitazione di massa.
Quali azioni andrebbero messe in campo?
Occorrono e ci saranno proposte anche molto specifiche sulle politiche industriali, per la reindustrializzazione del Paese, per il ritorno della manifattura dove non c’è più. Proposte che riguardano la transizione ecologica di cui tanto si sta discutendo, quella sociale, l’assetto dei beni pubblici come istruzione, sanità, educazione.
E sul fronte dei salari?
Se devi lavorare part time perché sei costretto e non perché lo desideri, è chiaro che il tuo reddito è inferiore a quello auspicabile. Lo stesso vale se hai un contratto pirata o addirittura a nero, se sei sottopagato. La retribuzione oraria è importantissima. Le aziende devono mettersi in testa che bisogna pensare ad aumenti della retribuzione lorda perché la riduzione del carico contributivo non basta. Le statistiche dimostrano che la produttività cresce solo se crescono i salari lordi, che hanno un effetto anche sulla domanda.