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Anche per fronteggiare le pandemie è fondamentale tenere a mente che la democrazia è una precondizione. I cittadini e le cittadine hanno il diritto di avere informazioni adeguate sulla diffusione del coronavirus, su quali siano i dati epidemiologici e quali le attività che le istituzioni hanno messo e mettono in campo per fronteggiare la diffusione del Covid.
In Abruzzo informazione e trasparenza scarseggiano. “Qualche problema di natura democratica comincia ad esserci” afferma Paola Puglielli, segretaria generale della Fp Cgil Abruzzo e Molise. La Regione è ancora in zona rossa, il virus corre, la sanità di territorio è collassata e la rete ospedaliera è in totale emergenza, anche qui si sono viste scene come quelle raccontate dai tg nazionali davanti agli ospedali di Napoli, pazienti accuditi nelle macchine in sosta di fronte ai pronto soccorso perché all’interno non c’era più posto. “In una fase come quella che stiamo vivendo l’informazione è necessaria. Non si hanno i dati dei tracciamenti dei contatti Covid, non si conoscono le attività delle Usca, non sappiamo quanto personale si sia contagiato – aggiunge Puglielli – così come non conosciamo il reale numero di posti letto ordinari e di terapia intensiva”. Soprattutto le rianimazioni possono anche essere allestite ma non bastano respiratori e monitor per farle funzionare, occorrono medici e infermieri”. All’appello ne mancano circa 2000. E gli annunci sulle assunzioni fatte non corrispondono a un aumento di personale, sono in gran parte stabilizzazioni di operatori già in forza al Sistema sanitario regionale con contratti a tempo determinato. C’è bisogno di forze nuove e aggiuntive. Così come serve personale amministrativo negli uffici della Regione e dei distretti. “La verità, aggiunge ancora Puglielli, è che nel corso degli anni tutta la pubblica amministrazione si è impoverita e oggi ne paghiamo le conseguenze”.
La situazione è grave in tutto il territorio regionale, tanto che il sindacato, cercando senza riuscirvi di aprire un confronto e una collaborazione con l’assessorato alla sanità della regione, ha stilato un elenco provincia per provincia di ciò che non funziona. Una costante, lo dicevamo, è la carenza di personale, sia nella rete ospedaliera che in quel che rimane di quella territoriale. I medici di medicina generale, soprattutto a L’Aquila, sono in “rivolta” non hanno ricevuto i dispositivi di protezione individuale in maniera sufficiente, e non hanno nemmeno avuto i vaccini antinfluenzali - ne mancano oltre 150 mila - ma gli è stato chiesto di fare i tamponi perché altrimenti non si riesce a star dietro a quanti devono farlo. La situazione è talmente grave che addirittura scarseggiano tamponi e reagenti, per cui cittadini e cittadine aspettano di potersi sottoporre all’accertamento anche per giorni.
La vera disfatta regionale, però, è la Asl1 quella della Marsica, l’ospedale di Avezzano, originariamente classificato come Covid free, è stato ed è l’unico punto di riferimento dell’intero territorio su cui insiste una popolazione di 140mila abitanti. Risultato, Pronto soccorso al collasso, pazienti in attesa per giorni nel piazzale avendo come unico ricovero la propria automobile, e c’è chi in attesa non ce l’ha fatta ed è morto aspettando il ricovero. E all’interno della struttura certo non va meglio, il contagio corre tra pazienti e personale ma, anche in questo caso, non si riesce ad avere i dati relativi tanto che la Cgil si è vista costretta a fare due esposti di denuncia, il primo sulle disfunzioni della Asl, il secondo a difesa del personale dell’ospedale. E poi oltre il danno la beffa.
Alcuni sindaci della zona avevano chiesto l’intervento dell’esercito e l’allestimento di un ospedale militare, la Regione non ha acconsentito scegliendo di stipulare una convenzione con una clinica privata L’Immacolata di Celano, 76 posti letto, che si sarebbe dovuta trasformare in Covid Hospital. L’annuncio era arrivato attraverso un comunicato nella mattina del 27 novembre. Ma già a sera la stessa direzione sanitaria della clinica aveva diramato una nota stringata per annunciare che a causa di sopravvenuti impedimenti tecnici la struttura avrebbe continuato a svolgere l’attività ordinaria rimanendo Covid free. Nel frattempo i contagi continuano ad aumentare e la Regione sembra non sapere cosa fare.
Il racconto degli operatori è preoccupante, secondo la dottoressa Anna Rita Gabriele, del Pronto Soccorso dell’Ospedale di Teramo, “All’inizio della seconda ondata eravamo ancora del tutto impreparati, non c’erano i percorsi “sporco-pulito” e la nostra emergenza si è saturata perché l’afflusso dei malati era davvero troppo alto. Ora va meglio, abbiamo istituito i percorsi differenziati, abbiamo trasformato l’osservazione breve in osservazione Covid e stiamo posizionando 2 container per ospitare altri 6 posti letto”.
Invece di assumere personale si procede ai trasferimenti, diventata ormai una pratica quasi ordinaria, medici infermieri e Oss spostati da un presidio all’altro, da un servizio all’altro per aumentare le dotazioni di personale nei reparti Covid ma senza alcun tipo di programmazione e lasciando sguarniti gli altri dei servizi. “La verità, sostiene la segretaria generale della Fp regionale, è che servizi ordinari non vengono più erogati se non per le urgenze, e i bisogni di salute non trovano risposte”.
Carmine Gasparro è un infermiere del blocco operatorio dell’Ospedale di Chieti. Nella sua struttura hanno allestito una sala operatoria per intervenire su pazienti affetti anche da Covid. Racconta le preoccupazioni e la paura di portare il contagio a casa, dai propri cari ma anche l’impegno e la passione con la quale lui e i suoi colleghi svolgono i propri compiti. “Si sarebbe dovuto far tesoro di quanto è accaduto nella prima ondata e prepararsi alla seconda”, dice e aggiunge: “Prevenzione e sicurezza si devono muovere sulla stessa linea. È necessario che ci siano protocolli uguali in tutti i servizi e che vengano verificati periodicamente con il personale. Vorrei poter lavorare in sicurezza, serenità ed essere valorizzato”. Sabina Rapini è uno di quei professionisti di cui spesso non si parla, è in forze alla Asl di Pescara ed è tecnico di neuro-fisio-patologia, una delle 22 professioni sanitarie indispensabile alla cura e al benessere della persona. Riflette ad alta voce con la voce oscurata dalla mascherina chirurgica che le copre il viso: “Nei lunghi anni di lavoro ho imparato che l’importante è il lavoro di equipe e la visione complessiva della persona che si ha davanti. Durante queste settimane di emergenza sanitaria si è perso proprio questo, la visione complessiva del sistema sanitario. La multidisciplinarietà e il lavoro di team sono la chiave per riscattare la sanità, non solo all’epoca del Covid”.
Certo la situazione non è diversa nel confinante Molise, con l’aggravante che essendoci un commissario ad acta la confusione regna quasi sovrana con un continuo di sovrapposizioni tra presidente di Regione, commissario e direttore generale dell’Azienda sanitaria regionale. Secondo un originario piano Covid l’ospedale di Campobasso avrebbe dovuto garantire le cure per tutte le patologie non Covid “tempo dipendente” ed invece è ormai quasi completamente occupato da pazienti Covid. I nosocomi di Termoli e Isernia hanno in carico sia pazienti Covid che non Covid, con tutti i rischi che questo comporta, in attesa che quelli contagiati dal virus vengano trasferiti a Campobasso. E si è arrivati al paradosso che il servizio 11, invece di occuparsi esclusivamente delle emergenze, venga anche impiegato per il trasferimento ordinario di malati. Per non parlare, anche qui, della carenza di personale. Ai sindacati non è rimasto altro che rivolgersi alla procura della Repubblica, all’ispettorato del Lavoro e al ministro Speranza per difendere il diritto alla salute delle popolazioni della Regione.