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La discussione in corso su come gestire i fondi del Recovery Fund mi sembra un po’ astratta. Per fornire qualche riferimento concreto, mi permetto di citare la lunga esperienza che abbiamo fatto in Emilia-Romagna, di impostazione gestione e attuazione dei Fondi Europei, per le non piccole risorse di circa 3 miliardi di euro per ogni ciclo di sei anni. Questi Piani, innanzitutto, sono stati impostati, come richiesto dalle Linee di indirizzo della Commissione Europea, come un “Intervento complessivo”, per configurare una politica “sistemica e integrata” di sviluppo economico ma anche sociale e “delle risorse umane e di conoscenza”; intervenendo contemporaneamente in agricoltura, industria, terziario, ricerca e formazione, con una visione di sviluppo integrato del territorio e pure di qualità di vita, nelle città e nelle periferie.
Attenzione al dettaglio
Sono sempre stati suddivisi per “Assi di intervento”, strutturati in azioni, a loro volta tutte dettagliate per interventi “puntuali”; e anche con la specifica indicazione dei beneficiari e dei “soggetti attuatori” o delle procedure concorsuali a cui fare ricorso per l’assegnazione selettiva delle risorse ai progetti. I Piani sono stati sempre approvati con delibere di tutta la Giunta (come dovrebbe essere dunque per il Consiglio dei Ministri tutto intero); e poi sottoposti a discussione e approvazione del Consiglio/Assemblea Regionale (il Parlamento). I responsabili, sotto il Coordinamento della Presidenza della Regione, progettuali ed esecutivi dei diversi Assi sono stati gli Assessori competenti per materie (i Ministri), uno o più per ogni asse; e la gestione operativa e amministrativa affidata alle strutture degli Assessorati interessati. Potrebbe quindi facilmente chiarirsi che per un Piano così concepito vi sarebbe di per sé una compiuta procedura istituzionale di confronto, quindi nessuna mano libera a nessuno, compresa la definizione preventiva delle modalità di gestione e amministrative.
Il ruolo dei commissari
ln questo ambito peraltro pure un’eventuale previsione di “Commissari” potrebbe essere comprensibile su certi interventi puntuali - come si è dovuto fare per il Ponte di Genova – bisognosi d’impulso per una attuazione rapida ed efficace; ma certo non per la definizione, delle azioni e interventi all’interno delle diverse “Missioni"; e tantomeno come si è già polemicamente e confusamente voluto interpretare, con i poteri derogatori nella selezione di progetti o assegnazione di risorse e lavori. Uno spettro evidentemente impensabile, evocato strumentalmente e con gran chiasso da altrettanto impensabili difensori delle procedure e della partecipazione, che dunque il Governo farebbe bene a fugare subito.
Il metodo della concertazione
Ma in ultimo vorrei ricordare ed evidenziare la cosa più importante: in questi nostri Piani le azioni dovevano essere e sono state sempre rivolte, contestualmente, in ogni asse, sia a interventi strutturali (investimenti) sia a interventi per la crescita di risorse di lavoro, sociali e formative. E, proprio per questo si è attuato il metodo della concertazione sociale, che per altro proprio l’Europa richiedeva/richiede come obbligatoria, con le forze economiche sociali e culturali del territorio come con provincie e città. Qui sta appunto tutto il valore innovativo della visione di nuova politica di programmazione e del "modello di sviluppo economico e sociale” di Delors. E qui stanno allora - come i sindacati e la Cgil hanno già giustamente richiesto - i punti altri e più importanti da sviluppare, e correggere rispetto alla prima bozza anticipata che si è letta, che Cgil, Cisl, Uil hanno giustamente chiesto di discutere. Vorrei dire infatti che quella che viene indicata assai genericamente come la “Missione”, separata e allora solo “aggiuntiva” di “inclusione di genere, sociale, e territoriale” dovrebbe invece innanzitutto vivere in ciascuna delle Missioni, e prevedere interventi anch'essi strutturali per integrare il "profilo” dello sviluppo da rilanciare.
Reti strategiche
Ci può essere digitalizzazione solo con la realizzazione pur certo importante delle grandi reti (o, finalmente, di una Grande Rete Pubblica) ad "alta capacità”, alle spalle delle connessioni puntuali oggi gestite tutte dagli operatori privati (che quindi ne usufruiranno contenti), senza assicurare anche "il diritto” al bene nuovo e fondamentale della connessione per ogni famiglia ai servizi pubblici: uffici amministrativi, sanità scuola? L’industria 4.0 può sostenere solo acquisti pur innovativi di macchine e software o deve veramente far sviluppare processi produttivi nuovi integrati obbligatoriamente con la qualificazione della organizzazione del lavoro e della formazione contrattata con Rsu e sindacati? II Green New Deal può, attuarsi solo con il (positivo) 110% di finanziamento alla riqualificazione energetica di tanti edifici isolati o deve attivare anche e innanzitutto Piani Energetici obbligatori nelle città e nei territori, e la conversione alla economia circolare? Per la ricerca e innovazione si creeranno veri Centri e "Tecnopoli” per l'innovazione come in Germania e Francia, (e come già in qualche iniziativa italiana pure in Emilia-Romagna ) e si metterà al lavoro in questi Centri e nelle imprese una leva di giovani ricercatori e tecnici? E soprattutto: le risorse del RF potrebbero e dovrebbero essere disponibili per sostenere anch'esse un grande Piano per una vera difesa e rilancio di "Buona occupazione e Lavoro qualificato Sicuro e Resiliente " di cui il tempo Covid ha solo anticipato la necessità e l’urgenza, che potrebbe sostenere allora, per la sua parte, sia la Riforma degli ammortizzatori sociali in senso “universale” chiesta dai sindacati, che ora - nella crisi Covid è urgente e indispensabile. E che in un Piano unificante potrebbe vedere, l’introduzione di un nuovo istituto - pure europeo - di sostegno a riduzioni flessibili di orari di lavoro, utilizzabile in alternativa a Cig e licenziamenti. E connettersi anche alla necessaria ridefinizione, per consolidarlo, del reddito di cittadinanza come parte della tutela dalla disoccupazione di lunga durata, della sotto-occupazione e inoccupazione.
Duccio Campagnoli è stato segretario generale della Cgil Bologna e poi assessore della Regione Emilia Romagna per lo Sviluppo economico e le attività produttive