Decenni di politiche restrittive sulla sanità hanno portato il servizio nazionale al collasso con tagli alle risorse e blocco del turn-over. Il numero chiuso nelle università per le professioni sanitarie impedisce a molti studenti di accedere a professioni che rischiano di divenire sempre meno appetibili. Gli effetti sul personale sono devastanti. Su loro viene scaricato un peso insostenibile.
Secondo uno studio della Funzione Pubblica Cgil, in Italia mancano all’appello oltre 34 mila medici e 300 mila infermieri. Entro i prossimi 7 anni cesseranno l’attività 13 mila medici di emergenza-urgenza, 18 mila di medicina generale e quasi 70 mila infermieri. I salari sono nettamente più bassi rispetto alla media dei paesi dell'Ocse tanto da determinare un fenomeno di emigrazione verso gli ospedali di Francia, Germania e Svizzera.
Il tetto alla spesa per il personale imposto dai governi impedisce alle Regioni di assumere gli operatori necessari per garantire i Lea, i livelli essenziali di assistenza. Le Regioni hanno esternalizzato i servizi, aumentando i costi e diminuendo la qualità. La carenza specifica di medici di emergenza-urgenza ha fatto esplodere il fenomeno dei medici a gettone. Secondo il Corriere della Sera nel 2022, in Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia-Romagna sono stati appaltati all’esterno oltre 100 mila turni. Sono in molti a nutrire dubbi sulla legittimità del sistema.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, i cui dati integrano quelli dell’Inail, “fra l’8% e il 38% degli operatori sanitari ha subito forme di violenza fisica”. A correre rischi maggiori sono gli infermieri, gli operatori di pronto soccorso e dei reparti di salute mentale. Delle 4.821 aggressioni fisiche registrate dall'Inail nel triennio dal 2019 al 2021, il 71% ha avuto come vittima una donna.