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L'articolo che segue è tratto dal n.4/2020 di Idea Diffusa, il mensile a cura dell'Ufficio lavoro 4.0 della Cgil realizzato in collaborazione con Collettiva. Clicca qui per leggere tutti gli articoli di questo numero dedicato alle smart cities., le città intelligenti.
Bologna è stata la prima città in Italia che, in assenza di leggi nazionali adeguate, ha promosso iniziative dal basso per affrontare le distorsioni causate dalla nuova economia delle piattaforme, in termini di impatto sulla comunità. Un fronte che si è aperto in Europa anche a causa dell’applicazione delle direttive sul commercio elettronico e liberalizzazione dei servizi.
Sotto 'le due torri', è stata firmata nel maggio 2018 la prima "Carta dei diritti fondamentali dei lavoratori digitali nel contesto urbano", a seguito delle mobilitazioni dei rider, che operano per le piattaforme di food delivery e del confronto con il Comune di Bologna. Il capoluogo emiliano è stata la prima città europea in cui una coop dei taxi ha sviluppato un’app cooperativa, uno strumento tecnologico, ma soprattutto organizzativo, estremamente efficace, un caso studio internazionale. E sempre a Bologna è nato il progetto Fairbnb, la piattaforma cooperativa per gli affitti turistici, che si propone di proteggere la residenzialità, restituendo il 50% della percentuale trattenuta per ogni transazione in progetti a sostegno della comunità locale.
Come città, abbiamo iniziato a muoverci in questo campo in un momento in cui il successo delle piattaforme digitali private era già decisamente acclarato: piattaforme libere da reali vincoli in materia di diritto del lavoro nei paesi in cui operano, particolarmente sfuggenti di fronte al prelievo fiscale, fondative di un nuovo paradigma della produzione del valore e dell’organizzazione del lavoro di stampo liberista e non democratico. La loro diffusione incontrollata ha certamente aperto nuove possibilità, ma, di fatto, ha scaricato la maggior parte dei costi sulle comunità locali, ad esempio, limitando i diritti di chi lavora nei trasporti e nella logistica, minando il commercio di prossimità, rendendo difficile l’accesso alla casa per le fasce sociali più deboli.
E’ proprio durante la fase più acuta di questa emergenza sanitaria che abbiamo deciso di costruire una nuova alternativa. E lo abbiamo fatto come sistema-città, consapevoli che le città oggi rappresentano il principale campo di conflitto di questa nuova dimensione economica. Non si tratta di chiudere all’innovazione che viene dal web, bensì di volgere le città al servizio delle comunità e delle persone, secondo il principio del mutualismo, sapendo che la migliore forma di resistenza è la creazione di iniziative, politiche e modelli differenti, coinvolgendo e organizzando le persone, mettendole al centro di una nuova consapevolezza e di impegno collettivo.
Nei giorni del lockdown, le strade deserte di Bologna erano attraversate quasi esclusivamente da ciclofattorini impegnati nella consegna di cibo e altri beni di prima necessità. Alle logiche del capitalismo di piattaforma che governano le dinamiche del food delivery si affiancavano improvvisamente nuove logiche di tipo mutualistico e solidaristico per rispondere ai bisogni delle cittadine e cittadini più vulnerabili, come i malati e gli anziani. Quelli che fino ad allora erano visti solo come la componente umana marginale e sfruttata di un algoritmo e di un sistema tecnologico impersonale d'intermediazione economica erano diventati, da un giorno all’altro, un'infrastruttura sociale fondamentale della città per la cura della comunità, parte integrante di un nuovo modello di welfare, fondato sulla collaborazione fra amministrazione e reti sociali. Per dirla con le parole di Joan Subirats, professore di Scienza politica, esperto di democrazia partecipativa e assessore alla cultura del Comune di Barcellona, il cuore di una nuova alleanza tra pubblico istituzionale e pubblico comunitario.
Da qui, è nata l’idea di fare tesoro del percorso fatto negli anni passati e di lanciare, attraverso la Fondazione per l'innovazione urbana, un’assemblea cittadina online con la Riders union, commercianti, cooperative, reti solidaristiche e mutualistiche della città, centri sociali, l’università, sviluppatori e cittadinanza attiva, per dare vita a un 'cantiere' per le consegne 'etiche', con l’obiettivo di sperimentare una possibile alternativa municipalista alle grandi piattaforme del food delivery. L’iniziativa è parte di un più ampio progetto, chiamato "Bologna attiva", che mira a creare un ecosistema dell’economia mutualistica e collaborativa (Coop valley), aggregando in uno stesso spazio fisico incubatori di cooperative di piattaforma, innovatori sociali, studenti universitari, reti di vicinato e lavoratori precari.
Il progetto sarà ospitato nell’ex-scalo ferroviario del Ravone, come prima sperimentazione a Bologna di uso temporaneo di una grande area dismessa. Questa area, insieme alla futura Data valley, ovvero quella del Tecnopolo, che nel giro di pochi anni ospiterà il Centro meteo dell’Unione europea e il 90% della capacità di calcolo del Paese e centinaia di ricercatori, caratterizzeranno la Bologna del futuro, quella che può ambire a diventare una grande capitale europea della conoscenza. Però, noi siamo convinti che, per sfruttare in pieno queste potenzialità, sia necessario ancorare queste trasformazioni ai bisogni concreti delle persone. Welfare, qualità della vita, diritti dei lavoratori, accesso effettivo ai diritti di cittadinanza, mutualismo, devono essere parte integrante di una strategia metropolitana sull’innovazione e lo sviluppo tecnologico. Data valley e Coop valley si presuppongono vicendevolmente.
Matteo Lepore, assessore alla Cultura e all’immaginazione civica del Comune di Bologna