Quando parliamo di femminismo, sarebbe più corretto utilizzare il plurale: “femminismi”. Questo perché ogni epoca ha avuto le sue battaglie e le sue pratiche politiche. Un movimento che, interrogandosi sui diritti delle donne e sul loro ruolo nella società patriarcale, non ha potuto fare altro che esplorare nuovi orizzonti, porsi nuove domande e stravolgere le risposte, in una continua evoluzione. È per questo che abbiamo voluto farcelo raccontare da tre donne – Carla, Lara e Farida – che nel loro percorso di vita hanno incontrato, con modalità estremamente diverse, il femminismo italiano.

Carla Quaglino è un’iscritta al Sindacato Pensionati della Cgil. È di Torino. Ha vissuto la prima espressione di femminismo strutturato in Italia, quello degli anni ’70, riconducibile alla cosiddetta “seconda ondata”.

Ha visto nascere i primi collettivi e le prime associazioni femministe che volevano a tutti i costi costruirsi uno spazio politico che fosse riservato alle donne. A guidare il movimento, infatti, era una forte idea separatista. Dopo anni di partecipazione esclusiva degli uomini alla vita pubblica, la lotta anti-sessista era per loro qualcosa che doveva impegnare unicamente le donne e non poteva rimanere un fatto privato. Le donne, fino a quel momento isolate, si unirono e lottarono insieme per conquistare il loro spazio.

Uno spazio che non era stato loro concesso nemmeno a sinistra, come Carla racconta. Da fiera militante della Cgil, attraversò il sindacato sapendosi porre in conflitto. Quest’ultimo, come anche le forze partitiche di sinistra, si dimostrarono miopi sul tema, ma questo non fece affatto spegnere la voglia di lottare delle donne e di vestire i panni della doppia militanza. “Il personale è politico” era lo slogan del movimento. Patriarcato, sessismo e disuguaglianze erano problemi legati a tutti gli ambiti della vita delle donne e andavano a colpire tanto la sfera pubblica quanto quella privata. Carla ricorda la dirompenza delle manifestazioni di quegli anni: “È stata un’onda davvero travolgente la nostra”. Furono gli anni delle grandi manifestazioni, della battaglia storica per l’interruzione volontaria di gravidanza (quella che sarebbe diventata la Legge 194 del 1978). Un caso unico di partecipazione politica intergenerazionale che coinvolse tutto il Paese.

Lara Ghiglione, invece, è una sindacalista della Cgil. È Segretaria Confederale e si occupa, tra le altre cose, proprio di politiche di genere. “Credo di essermi avvicinata molto tardi al femminismo. È stato merito della Cgil”. Un percorso molto comune per le donne di quella generazione che hanno vissuto un nuovo femminismo, quello definito “culturale”. Un’ondata caratterizzata da un ritiro alla sfera privata, che ha spostato il dibattito dalle piazze all’accademia. E se da una parte le piazze si svuotavano e la militanza si disperdeva, dall’altra nascevano e si diffondevano le Librerie delle donne, i Centri antiviolenza, le Case delle Donne.

È in questa fase di teorizzazione dei principi del femminismo della terza ondata che l’influenza dell’accademia statunitense arrivò fino a noi, portando un vento di cambiamento. I principi del movimento storico degli anni ’70 cominciavano a scricchiolare. In particolare nel femminismo nero e in quello lesbico, iniziava a introdursi l’idea che si fosse commesso un errore: considerare le donne come un insieme organico, ignorando le stratificazioni delle varie discriminazioni. E che quel vento di liberazione che si era stato osannato coinvolgesse solo donne bianche, eterosessuali e borghesi.

L’avvento dei gender studies fece riflettere, per la prima volta, sul concetto di intersezionalità. Finalmente nasceva un dialogo con le donne nere e con il movimento omosessuale. Tuttavia, aver abbandonato lo spazio pubblico ed aver rinchiuso il movimento nei luoghi di alta formazione e nelle librerie, lo rese meno accessibile. In un mondo in cui l’università continuava ad essere un privilegio per pochз, la terza ondata condusse a degli avanzamenti teorici immensi, incapaci però di coinvolgere e arrivare a tutte.
Infine, c’è Farida Elashwal Rodrìguez, 24enne impegnata nella lotta intersezionale, che oggi rappresenta la forza propulsiva di tutte le lotte. “Il femminismo di oggi mette insieme tante cose”, spiega. La quarta ondata femminista è stata dirompente e, per la prima volta, internazionale. Dal 2016, infatti, le piazze di tutto il mondo sono tornate a popolarsi e questa volta non solo dalle donne ma da tutte le soggettività che, nella società odierna, sono oppresse e marginalizzate.

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Una marea compatta che tiene insieme e combatte per tutte le lotte sociali, un femminismo rivolto al 99% del mondo: transfemminista, antirazzista, ambientalista e anticapitalista. Un movimento finalmente consapevole di quanto il potere patriarcale, volto unicamente a cannibalizzare la società in cui viviamo, sia nocivo per tuttз, al di là del concetto di genere. Alla base di tutto questo c’è il principio di autodeterminazione. “È una questione di come ognunǝ di noi si percepisce”, al di fuori della logica binaria uomo-donna. Perché, nel dialogo e nel conflitto con le aspettative e le costruzioni che la società ci impone, tuttз devono avere diritto ad essere, a vedere la propria esistenza riconosciuta e vedere garantita un’eguaglianza sostanziale.

Oggi continuano a coesistere movimenti, collettivi, ideologie e metodi differenti, conflittuali e complementari, espressioni della ricchezza del dibattito e delle pratiche femministe nel nostro Paese.

Carla, Lara e Farida, pur avendo attraversato storie e spazi differenti, condividono le medesime aspirazioni: pensare unitariamente le differenze, coniugando gli strumenti e le istanze verso la costruzione di una lotta comune, intergenerazionale e intersezionale, in grado di accogliere nel dialogo e nel conflitto, saldando passato e presente, con uno sguardo necessario verso il futuro.