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Ci ha lasciato Bruno Ugolini, un compagno, un grande giornalista, un amico. Figlio dello scrittore per l’infanzia Gherardo Ugolini, Bruno nasce a Brescia il 23 giugno del 1935. Dopo aver lavorato per alcuni anni presso la Casa Editrice La Scuola di Brescia, come correttore di bozze e come redattore per alcune riviste (Carta Penna e Calamaio, La madre, Scuola Italiana Moderna) dall’inizio degli anni Sessanta diventa corrispondente de l’Unità e direttore del settimanale del Pci La Verità del quale era stato collaboratore sotto lo pseudonimo di Gavroche.
Raccontava lui stesso
La mia prima uscita da giornalista militante fu a Lumezzane. La Voce del Popolo, guidata da un terribile Monsignor Pasini, leggendario sacerdote circondato da un’aureola di presunte mondanità, aveva montato una specie di scandalo sulle foibe dei partigiani. Il settimanale dei comunisti bresciani, con quella testata che non era altro (unico esempio in Italia) che la traduzione della sovietica Pradva, aveva deciso di rispondere con un’inchiesta sui livelli di sfruttamento in Valle Trompia. Ed eccomi con tanto di taccuino nelle case-officina, sempre accompagnato da funzionari del Pci, spesso accolto con la richiesta di mostrare la tessera di partito. Un’aria di non spenta clandestinità. Erano, in fondo, gli aspetti simpatici di quel mondo. Meno simpatiche erano le riunioni dell’apparato nel gran salone della Federazione, quasi sempre dedicate alla scelta di candidati. (…) Io spesso e volentieri mi annoiavo. Erano meglio le riunioni del sommo Comitato Federale. Anche perché qui la polemica, specie tra sindacalisti e funzionari federali era più aperta e spesso violenta. Anche allora… Qualche volte ero chiamato in causa anch’io. Come quando qualcuno quasi mi accusò di essere una spia del Vaticano, provenendo da quella Casa Editrice La Scuola, patria della battaglia per l’insegnamento della religione nelle scuole, all’inizio del secolo. Come quando venne Rinaldo Scheda a corrugare la fronte, alzando la voce, per chiedere la sostituzione dell’allora segretario della Fiom, un omone di Genova che si chiamava Morchio. Era accusato di rapporti troppo idilliaci con la Fim-Cisl di Franco Castrezzati, un cattolico che faceva comizi a mitraglia parlando come uno di Lotta Continua. Io già allora ero innamorato degli operai, dei metalmeccanici in particolare, dei sindacati, della classe. Perciò lo stesso Morchio il giorno dopo aveva chiamato al telefono rimproverandomi per non essere intervenuto a sua difesa… All’Unità mi portarono Tortorella e Luca Pavolini, un giorno che erano venuti a Brescia, proprio il giorno dell’assassinio di Kennedy
A l’Unità Bruno assume presto un ruolo di primo piano raccontando il lavoro e i lavoratori, il sindacato, la Cgil e i suoi protagonisti a partire da Bruno Trentin con il quale stringerà un legame affettivo e umano rimasto negli anni invariato. Collaborerà con il giornale fino al 2015 pubblicando ogni lunedì una rubrica dedicata ai lavoratori atipici (suo anche il volume - bellissimo - Vite ballerine. Prima e dopo il Jobs Act, pubblicato dalla casa editrice Ediesse). Tra i fondatori di Strisciarossa, ha negli anni collaborato anche con Rassegna Sindacale scrivendo pagine bellissime che torneremo certamente a leggere.
Suoi i libri Il coraggio dell’utopia, intervista a Bruno Trentin, Il sindacato dei Consigli, un’altra intervista a Bruno Trentin, La scommessa del sindacato, Il tempo del lavoro, Parlano le donne lavoratrici, Il lavoro che cambia, da ultimo - insieme agli amici e compagni di Strisciarossa - Cari compagni. A dare la notizia della sua morte è su facebook il compagno e amico Pietro Spataro.
“Ci sono maestri di lavoro e di vita. Bruno era entrambe le cose”, “Umile e tosto. Infaticabile. Un compagno. Aggiornato. Studioso e senza oltranze. Ironico. Mi ha insegnato tanto. Sui precari. Atipici. Contratti. Mi stupiva sempre la sua calma. Che orgoglio aver fatto parte della stessa squadra. Era socratico. Curioso”, “Un maestro che se ne va. Rimane la sua opera di grande cronista sindacale, testimone di vicende, custode di memorie”, “Un grande giornalista e collega, un compagno esemplare, un gran signore... e quel suo indimenticabile accenno di sorriso tenero, ironico, ammonitore…”, si legge nei commenti - commossi - alla notizia.
Anche io a Bruno Ugolini volevo bene. Bruno era un grandissimo giornalista, ma era pure un uomo gentile e generoso, anche con un piccolo apprendista stregone pieno di voglia di fare come come me. Mi ha aiutato, consigliato, presentato, sempre con il sorriso, con una gentilezza, una disponibilità, un’umiltà oggi davvero rare. La notizia della sua morte, anche se in un qualche modo immaginabile - era malato da tempo - ci lascia senza parole. Ci mancherà. Ci mancheranno la sua competenza, la sua intelligenza, la sua caparbietà, la sua precisione, la sua lungimiranza, la sua capacità di visione, la sua conoscenza, il suo sorriso rassicurante. Ci mancherà la sua amicizia.
Riferendosi a Nella Marcellino Bruno scriveva sul suo blog nel 2011: “Avrebbe voluto inserire, in una possibile riedizione del suo libro, una paginetta dedicata all’amicizia. Una specie di morale sul vantaggio che deriva dal tentare di costruire un mondo in cui le donne e gli uomini siano più liberi e capaci di stare insieme, legati da vincoli di solidarietà. Perché non è vero che l’egoismo possessivo di cui sono piene le cronache anche di questi giorni del nuovo secolo, alla fine paghi e renda felici. Grazie Nella”.
Grazie a te Bruno, per tutto quello che sei stato, per tutto quello che ne sono certa ancora sarai.