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Lo scorso 17 novembre vicino Roma, a Sacrofano, si è tenuta l’assemblea nazionale di Libera che ha eletto presidenti don Luigi Ciotti e Francesca Rispoli. Questa elezione arriva nel trentennale dell’Associazione, un tempo congruo per fare un bilancio e tracciare un’agenda dei prossimi impegni.


Rispoli, oggi è il 21 marzo, la Giornata della memoria delle vittime incolpevoli di mafia. E in questi giorni si celebra anche il trentesimo compleanno di Libera: due momenti significativi non solo per la Rete ma anche per il Paese. Cominciamo dal compleanno, è un bilancio bello denso.
Trent’anni rappresentano un lasso di tempo importante, che consente di fare qualche bilancio. C’è da dire, prima di tutto, che in questi trent’anni il mondo, e quindi anche le mafie, ha visto una velocità di azione e di mutamento non paragonabile a nessuno dei periodi precedenti. Il percorso di Libera ha messo al centro sempre l’impegno individuale e collettivo, attivato dal basso ma con le istituzioni di riferimento. Fin dalla sua nascita, Libera ha posto i cittadini al centro della sua azione. La grande mobilitazione popolare per l’utilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie è stata una delle prime battaglie vinte, con un milione di firme raccolte per sostenere la legge 109/96. Negli anni, l’associazione ha promosso la partecipazione attiva attraverso la Giornata della Memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, i campi di volontariato e formazione sui terreni confiscati (“E!state Liberi”) e numerose campagne di sensibilizzazione, come il flashmob delle “magliette rosse” per i diritti dei migranti.
Una delle sfide, che continua ad essere all’ordine del giorno del nostro agire, è tenere insieme la dimensione singola d’impegno con quella interassociativa. Libera è nata dal lavoro congiunto di numerose associazioni, creando una rete capace di affrontare le mafie non solo con la denuncia, ma anche con la costruzione di alternative concrete. È stata l’intuizione che ha consentito alla rete di “reggere”, quando l’ondata emotiva successiva alle stragi del ‘92-93 avrebbe potuto scemare e lasciare il passo al disimpegno, alla disillusione. Invece si è riusciti ad andare avanti proprio unendo le forze. Una tappa fondamentale è stata la nascita della prima Cooperativa Libera Terra in Sicilia, a inizio anni 2000, che ha dimostrato che era possibile anche un’economia del bene confiscato. In questo caso Libera ha accompagnato un processo, come fa ancora oggi, pur lasciando nella piena autonomia gestionale queste esperienze.
Un passaggio ulteriore di impegno è stato quello volto a portare all’estero l’importanza di un’azione civica contro la mafia. L’esperienza di Libera ha varcato i confini italiani, portando il suo modello di lotta alle mafie in Europa, America Latina e Africa. Dalla partecipazione alla Conferenza Onu sulla criminalità organizzata (a Palermo, nel 2000) alla creazione della rete Alas in America Latina, Chance in Europa e Place in Africa, fino alla recente conferenza in Vaticano con delegazioni internazionali, Libera ha dimostrato che la lotta alle mafie è una sfida globale che richiede risposte condivise. La nostra azione ha spesso visto nella proposta normativa uno dei punti di approdo, per generare cambiamento. L’impegno della rete ha contribuito all’approvazione di leggi cruciali per il contrasto alla criminalità mafiosa e la tutela dei diritti: dalla legge 109/96 sull’uso sociale dei beni confiscati, alla legge sul voto di scambio politico-mafioso (2014), fino alle più recenti norme sugli eco-reati (2015) e sul caporalato (2016). L’istituzione ufficiale del 21 marzo come Giornata della Memoria e dell’Impegno, avvenuta nel 2017, ha sancito il valore di questa battaglia nella coscienza collettiva. Ma tanto resta da fare: penso alla legge sul “diritto alla verità”, così come a quella per sancire i percorsi di “libere di scegliere” e consentire l’allontanamento dai contesti criminali di donne e figli/e “di mafia”.
Un filo conduttore, mi pare, abbia segnato il vostro lavoro, quello di fare dell’impegno contro la mafia e per la legalità il riscatto della società civile.
Certamente, il percorso di Libera ha dimostrato che il contrasto alle mafie non è solo repressione, ma costruzione di una società più giusta. Il cammino intrapreso e tutt’ora in corso attiva un impegno sempre più ampio che coinvolge cittadini, associazioni e istituzioni in una lotta che appartiene a tutti. È un contrasto complementare a quello istituzionale, perché mafie e corruzione sono fenomeni complessi, rispetto ai quali la risposta non può che essere complessa, articolata, sistemica. Azioni diverse ma con un obiettivo comune: asciugare il brodo di coltura delle mafie, che si alimentano anche delle nostre sottovalutazioni, delle nostre tolleranze, oltreché del bisogno di troppe persone che vivono sotto la soglia di povertà.
Tra le vittime incolpevoli delle mafie ci sono molti sindacalisti, molti lavoratori e lavoratrici. Perché la criminalità organizzata spesso si è scagliata contro di loro e cosa rappresenta il lavoro nella costruzione di legalità?
Partiamo dal presupposto che senza lavoro e diritti sociali non ci sono i presupposti per una cittadinanza piena. E l’azione contro le mafie è innanzitutto un moto di cittadinanza, che non vuole lasciare spazi all’erosione dello spazio pubblico a favore dello spazio privato. Chi ha difeso il lavoro contro il giogo mafioso ha pagato un prezzo altissimo, spesso con la vita. I sindacalisti uccisi dalle mafie erano uomini e donne che si battevano per i diritti dei lavoratori, per la giustizia sociale, per un'economia libera dal ricatto e dallo sfruttamento criminale. Ricordiamo figure come Placido Rizzotto, sequestrato e assassinato dalla mafia corleonese nel 1948 per il suo impegno nella lotta per l’assegnazione delle terre ai contadini. La sua morte è legata a quella del giovanissimo Giuseppe Letizia, testimone oculare dell'assassinio per questo a sua volta ucciso. Alta figura importante è quella Salvatore Carnevale, ucciso nel 1955 per aver sfidato i latifondisti e i loro legami con la mafia. Sua madre, Francesca Serio, è una figura fondamentale per come si è imposta di reagire al sistema mafioso, per chiedere verità e giustizia per suo figlio. E ancora, Epifanio Li Puma, Accursio Miraglia e Bernardino Verro, tutti caduti per aver difeso il diritto al lavoro e alla dignità dei lavoratori. Ma non furono solo uomini a pagare questo prezzo. Anche donne hanno lottato e sacrificato la loro vita per un mondo più giusto. Giuditta Levato, bracciante calabrese e militante sindacale, fu assassinata nel 1946 mentre lottava per la riforma agraria e il diritto alla terra. Così come Angelina Mauro, unica donna uccisa nella strage di Melissa nel 1949, che perse la vita insieme ad altri contadini mentre protestavano pacificamente per ottenere l’assegnazione delle terre incolte. Ricordarli non è solo un atto di memoria, ma un impegno quotidiano: lottare per un’Italia in cui il diritto al lavoro non sia minacciato dalla violenza mafiosa, ma garantito dalla giustizia e dalla democrazia.
E cosa rappresenta il ricordo e la memoria?
Anni di studi e pratiche ci hanno consegnato la consapevolezza che la battaglia contro le mafie non è soltanto repressione, non è solo codice penale e sentenze. È un’azione sistemica che si combatte su un piano più profondo, quello della coscienza collettiva, della cultura. E questa azione sistemica non può che essere attivata anche dalla passione civica, dal sentire l’autentica urgenza di superare un fenomeno criminale perdurante e pervasivo, che erode i diritti e impoverisce i territori. La passione civica e l’urgenza si alimentano con la testimonianza, con la narrazione, attraverso uno scambio continuo di informazioni e prassi che consentono agli attivisti di portare fuori, ad una platea più ampia, la conoscenza delle mafie e delle modalità attraverso le quali hanno potuto divenire progressivamente più potenti. Qui si colloca l’impegno di Libera per la memoria, una memoria che si fa al contempo Storia e Vita. La vibrante vita delle biografie dei caduti innocenti delle mafie e il “rumore” da provocare attorno a questi nomi è il presupposto per evitare l’inabissamento, il silenzio, la resa. Per combattere contro il ricordo sterile e pretendere che ogni commemorazione porti con sé la spinta all’azione. Non si può infatti considerare il passato come campo di gioco. La lotta alle mafie è un fronte aperto nel presente, che si alimenta della memoria ma che non può e non deve fermarsi ad essa. Dobbiamo quindi attivarci affinché ogni ricorrenza corrisponda una nuova ondata di mobilitazione, di impegno: che il passato ci spinga ancora di più verso l’urgenza di cambiamento.
Oggi le mafie sparano meno, ma se si guardano i dati c’è una economia sommersa e inquinata notevole. Quali gli anticorpi da costruire e potenziare?
Certamente c’è necessità di ulteriori strumenti di controllo nell’economia legale. Perché il problema non è solo l’economia “nera”, quella che in teoria sarebbe anche più facilmente riconoscibile. Il vero tema è individuare dove e come si muovono i capitali illeciti all’interno delle sfere di legalità. In Italia circolano miliardi di capitali che provengono da traffici criminali, prima di tutto il narcotraffico, che hanno modo attraverso imprese e attività di vario tipo di ripulirsi e rendersi irriconoscibili. In questo modo alimentano un’economia che diventa anche slealmente concorrenziale con gli operatori che rispettano la legge e quindi genera una doppia speculazione, a monte e a valle degli investimenti. C’è bisogno di un’azione istituzionale di controllo più serrata, che certamente necessità di investimenti e di professionalità mirate e con a disposizione strumenti all’avanguardia. Ma c’è anche bisogno di un controllo dal basso, di segnalazioni di quelle possibili storture dietro alle quali potrebbero nascondersi questi capitali. I cambi repentini di “insegna”, lo “shopping” delle sedi legali di aziende agli stessi indirizzi: ci possono essere dei segnali da cogliere e restituire alle autorità competenti.
Dei primi trent’anni abbiamo detto. Come immagini i prossimi trenta?
Di lotta comune, di tante e tanti. Un percorso di strada, di incontro, di coinvolgimento sempre maggiore delle persone. Viviamo un tempo in cui le mafie rischiano di essere spettacolarizzate talvolta senza che vi sia un ragionamento approfondito sugli effetti che provocano: sogno un tempo in cui contro le mafie si agisca di più, a partire dal nostro quotidiano. Perché non è vero che il singolo non ha potere. Spesso incontriamo le mafie e neanche ci facciamo caso, le alimentiamo senza domandarci chi stia dietro dinamiche di mercato che strozzano i lavoratori e producono diseguaglianze. Dobbiamo fermarci su questo, perché le mafie si alimentano e crescono in un contesto nel quale i capitali non hanno “odore” e la finanza è opaca. Le alternative ci sono: ad esempio scegliere la finanza etica (in Italia oggi garantita da Banca Etica), che è una scelta che ciascuno può fare decidendo dove allocare i propri risparmi. Farsi una domanda in più nelle proprie azioni quotidiane è un primo modo per mettere in crisi il sistema, che in alcune sue storture alimenta modalità e speculazioni che arricchiscono i soggetti che generano reti di collusione, di connivenze, di interessenze con le diverse forme di criminalità e corruzione.