PHOTO
I disturbi alimentari sono malattie fortemente democratiche, che non fanno distinzione di genere, età o peso. Ce lo ha raccontato Aurora Caporossi, fondatrice di Animenta – associazione non profit che si occupa di disturbi alimentari – che abbiamo intervistato in occasione del prossimo 15 marzo, la giornata nazionale del Fiocchetto Lilla, dedicata ai disturbi dell’alimentazione e della nutrizione (Dna).
Sono più di 3 milioni le persone che in Italia soffrono di un disturbo alimentare, eppure il nostro Servizio sanitario nazionale (Ssn) ancora non è stato in grado di dotarsi degli strumenti adeguati per affrontare strutturalmente il problema. Oltre a porre attenzione alle carenze del Ssn, il 15 marzo serve anche a rendere visibili disturbi di cui sentiamo parlare sempre troppo poco.
“I ragazzi hanno spesso paura di chiedere aiuto, perché lo stigma non è solamente sociale ma è anche clinico”, dichiara Aurora, evidenziando come, troppo spesso, gli stereotipi di genere legati ai disturbi alimentari portino chi ne soffre a non farne parola. Storicamente, infatti, queste malattie sono state considerate come prettamente femminili, non solo dall’opinione pubblica ma anche da quella medico-clinica. In percentuale, le donne risultano quelle maggiormente colpite, e tuttavia il dato potrebbe essere inficiato proprio dagli stereotipi esistenti. La quasi totalità della letteratura scientifica in materia si concentra infatti sulla popolazione femminile, rendendo il fenomeno invisibile in quella maschile.
Non si può non considerare “il ruolo che viene dato al corpo femminile, l’oggettificazione che il corpo della donna ha vissuto e subìto negli anni”, sostiene Aurora. “Vivendo in una società fortemente corpocentrica e mettendo sempre al centro delle narrazioni certe tipologie di corpo, è normale pensare che i disturbi alimentari riguardino solo le ragazze”. Lei stessa, quando si è ammalata di anoressia nervosa, si è scontrata con lo stereotipo che questa potesse riguardare soltanto le modelle, necessità legate a bisogni estetici o a corpi fortemente sottopeso. Aurora spiega che i disturbi alimentari sono, invece, molto più complessi e che esiste oggi il dovere di decostruire gli stereotipi esistenti.
Del resto, se gli stereotipi di genere non incatenassero sia uomini che donne a dei ruoli sociali predefiniti, l’insieme dei dati esistenti sulla salute mentale sarebbe stravolto. Manifestare le proprie emozioni, piangere o chiedere aiuto non sono certo condotte in linea con l’idea machista di uomo che fin dall’infanzia viene insegnata. Alle donne è concesso di parlare della propria sofferenza psicologica; per gli uomini è motivo di scherno.
Tutto ciò dimostra come una società ancora fortemente patriarcale e binaria sia un problema non solo per le donne. Rispondere a dei ruoli di genere così definiti danneggia le vite di tuttɜ.
Grazie ad associazioni come Animenta, esistono spazi dove chiunque può sentirsi rappresentatǝ e fare sensibilizzazione in merito al fatto che i disturbi alimentari possono riguardare qualsiasi tipo di corpo, età o genere. Sono proprio le nuove generazioni, infatti, a lottare con forza per rendere visibili le problematiche legate ai disturbi alimentari e alla salute mentale nella sua interezza. Lo dimostra il progetto Chiedimi come sto, nato nel febbraio del 2022 da studentɜ delle scuole superiori e delle università – associati all’Unione degli Universitari e alla Rete degli Studenti Medi – che da anni accende la luce su queste tematiche. Il 14 marzo attraverso Chiedimi come sto gli studenti hanno indetto una manifestazione davanti al ministero della Salute per chiedere, ancora una volta, maggiori risorse per la presa in carico dei disturbi alimentari nel Sistema sanitario nazionale.
Stare male non deve essere motivo di vergogna, ma è un nostro diritto come dovrebbe essere un nostro diritto accedere alle cure.