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L’ultimo giorno di questo annus horribilis si chiude con un provvedimento del Tribunale di Bologna che consente di guardare al 2021 con rinnovato ottimismo. A pochi giorni dalla decisione del giudice di Palermo che riconosce la natura subordinata del rapporto di lavoro di un rider, il Tribunale di Bologna accogliendo il ricorso per discriminazione collettiva promosso congiuntamente da Nidil, Filcams e Filt ha aggiunto un nuovo tassello al mosaico dei diritti che pian piano si sta ricomponendo.
Per la prima volta in Europa un giudice riconosce che l’algoritmo non è neutrale nelle sue decisioni ma consapevolmente è capace di discriminare perché riproduce all’infinito la “logica” dei suoi programmatori. Secondo il Tribunale, il complesso meccanismo delle prenotazioni delle sessioni di lavoro dei rider che privilegia l’accesso alle possibilità di lavoro, in ragione di un ranking reputazionale adottato da Deliveroo, ostacola in concreto la loro partecipazione alle azioni di lotta sindacale.
Il modello organizzativo della società basato sulla reputazione digitale privilegia, infatti, il rider che si rende completamente disponibile a garantire le fasce di prenotazione e, viceversa, penalizza, estromettendolo lentamente dal ciclo produttivo, il ciclofattorino che, non assicura la stessa disponibilità per motivi di salute, di assistenza a familiari ovvero per l’adesione a iniziative sindacali di sciopero.
Il giudice ha ritenuto che il modello di valutazione adottato dalla piattaforma di food delivery nasceva da una “scelta consapevole” dell’azienda di non considerare le ragioni del mancato “log in” alla piattaforma. È proprio la cecità dell’algoritmo, insensibile alle diverse ragioni che inducono i lavoratori ad astenersi, che lo rende discriminatorio.
Appare significativo che il Tribunale, quasi umanizzando il programma, affermi “quando vuole, la piattaforma può togliersi la benda che la rende “cieca” o “incosciente” rispetto ai motivi della mancata prestazione lavorativa da parte del rider e, se non lo fa, è perché lo ha deliberatamente scelto”. Il giudice ha ritenuto applicabile la disciplina antidiscriminatoria di cui al d.lgs 216/03 riconoscendo da un lato la piena legittimazione delle organizzazioni sindacali a promuovere azioni di tutela per discriminazione in rappresentanza dei rider, per altro verso ha riconosciuto il diritto dei ciclofattorini a non essere discriminati nelle condizioni di accesso al lavoro a prescindere dalla qualificazione del loro rapporto.
Il Tribunale, pur non affrontando la natura giuridica del contratto, riconosce che “nella recente evoluzione legislativa e giurisprudenziale in tema di tutela dei riders, non pare oggi potersi dubitare della necessità di estendere anche a tali lavoratori, a prescindere dal nomen iuris attribuito dalle parti al contratto di lavoro, l’intera disciplina della subordinazione” e in particolare la disciplina antidiscriminatoria in materia di accesso al lavoro.
Il ranking reputazionale non pare rispondere a quelle aspettative di trasparenza e imparzialità evocate in un primo momento dai fautori dei processi valutativi automatizzati. Il ranking reputazionale si rivela essere una forma carsica del potere disciplinare che, nascosto nelle pieghe di un programma digitale, monitora, valuta e costantemente controlla a distanza il rider ed emerge per punirlo con la perdita di occasioni di lavoro. Il ranking reputazionale è il fulcro del sistema del lavoro su piattaforma: il Tribunale di Palermo ne ha accertato la valenza disciplinare dirimente ai fini della qualificazione del rapporto condividendo valutazioni comuni anche di altre corti europee, mentre un mese dopo il Tribunale di Bologna ne ha sancito la natura discriminatoria.
Non è la prima volta che un algoritmo che genera un ranking reputazionale che condiziona la possibilità di lavorare viene messo sotto accusa perché tacciato di discriminare per pregiudizi dei suoi programmatori. La reputazione digitale che condiziona le possibilità di lavoro non costituisce infatti una caratteristica specifica delle piattaforme delle aziende del food delivery ma più in generale costituisce una forma di condizionamento delle possibilità di lavoro comune ai sistemi che forniscono servizi e lavoro tramite piattaforma.
Uber è un caso paradigmatico. La selezione degli autisti attraverso un sistema reputazionale rimesso al giudizio dei clienti che a fine corsa possono attribuire una valutazione su una scala prestabilita è oggetto da tempo di approfonditi studi sui rischi delle potenzialità discriminatorie derivanti dalla “tirannia” del giudizio dell’utente. Sebbene il ranking appaia in astratto un modello di valutazione oggettivo è emerso che i pregiudizi degli utenti influenzano spesso la valutazione dei lavoratori sulla base di stereotipi quali il genere, l’etnia e l’età dell’autista in tal modo condizionando la politica di assunzione fino a determinare l’espulsione dalla piattaforma.
Nel 2012 Facebook è stata oggetto di un ricorso per discriminazione perché ritenuta responsabile di veicolare le offerte commerciali a predeterminati “gruppi” di utenti preselezionati sulla base di criteri razziali, di età o genere. Facebook ha raggiunto un accordo impegnandosi a eliminare tutti gli aspetti legati a fattori discriminatori dal sistema con il monitoraggio delle organizzazioni dei diritti civili che avevano promosso l’azione.
La scelta di Deliveroo di modificare in extremis il sistema di accesso al lavoro su prenotazione incentrato sul ranking a pochi giorni dalla sentenza ha impedito al giudice di ordinare quel monitoraggio che pure era stato richiesto nel ricorso da parte di Nidil, Filcams e Filt. L’annunciata modifica del sistema tuttavia non ha impedito al giudice di riconoscere che “Frank”, l’algoritmo di Deliveroo, per anni ha governato il sistema di accesso al lavoro sulla base di una logica discriminatoria.
Per tali ragioni quindi il Tribunale di Bologna ha condannato Deliveroo al pagamento di € 50.000,00 a titolo di danno punitivo a favore delle organizzazioni sindacali ricorrenti ordinando anche la pubblicazione del provvedimento su un quotidiano nazionale e, al fine di garantire la massima visibilità, anche nel sito web della società e nell’area riservata alle domande frequenti. Il tratto comune dei provvedimenti dei Tribunali di Bologna e Palermo è la minuziosa descrizione dei processi lavorativi ed organizzativi delle piattaforme che costituisce la struttura portante delle decisioni.
L’analitica descrizione della piattaforma, desunta dai ricorsi presentati assieme all’avvocato Sergio Vacirca della Filt, è stata resa possibile solo grazie al prezioso lavoro di osservazione e di confronto con i delegati dei rider che hanno svelato il funzionamento delle piattaforme la cui struttura, logica e persino linguaggio presentano aspetti del tutto nuovi ed estranei alla tradizionale casistica dei Tribunali. Il provvedimento costituisce un fondamentale passo avanti nel percorso che vede la Cgil impegnata da sempre nella tutela dei lavoratori e delle lavoratrici impiegati nella nuova economica digitale.
Maria Matilde Bidetti e Carlo de Marchis Gòmez fanno parte del Collegio legale nazionale riders e componenti della Consulta giuridica