PHOTO
Il 24 gennaio 1979, otto mesi e mezzo dopo l’assassinio di Aldo Moro, le Brigate rosse colpiscono ancora uccidendo a Genova Guido Rossa, iscritto al Pci e delegato sindacale della Fiom Cgil, componente del Consiglio di fabbrica dell’Italsider dal 1970, esperto alpinista, fotografo, pittore e scultore, trucidato per aver denunciato, da solo, Francesco Berardi, un brigatista infiltrato in fabbrica.
“Guido Rossa era (…), anche se pochi lo sanno, uno dei più grandi arrampicatori italiani, un accademico del Club alpino”, diceva nel 1998 Bruno Trentin: “Era riconosciuto da tutti, io ho parlato a lungo con i dirigenti della sua fabbrica, come qualcosa di più di un operaio altamente specializzato: era un tecnico pieno di capacità inventiva, uno scultore, un pittore (…) e un grande alpinista”.
“Aveva 44 anni, era sposato e aveva una figlia di 16 anni, Sabina”, scriveva l’Unità il giorno successivo alla sua morte: “Dal 1960 lavorava all’Italsider e da otto anni era membro del consiglio di fabbrica. Era arrivato a Genova da Torino dove aveva lavorato alla Fiat negli anni duri di Valletta. Da quanto era iscritto al Partito comunista? Da sempre, rispondono i suoi compagni di lavoro. Nessuno riesce a ricordarlo senza tessera in tasca. Nessuno lo rammenta disimpegnato, indifferente ai problemi della politica o a quelli quotidiani della lotta in fabbrica. Da sempre comunista. Da sempre dalla stessa parte della barricata”.
Prosegue il quotidiano: “Le ‘iene’ lo hanno atteso vicino a casa, gli hanno spirato alle spalle. Rossa è uscito di casa alle 6.40. Come tutte le mattine. (…) I killer lo hanno sorpreso mentre, già sull’auto, si stava spostando verso il volante. Sei colpi attraverso il finestrino, mentre volgeva la schiena. Non ha avuto neppure il tempo di vedere in faccia i suoi assassini. Nessuno per quasi un’ora si è accorto della sua morte. Rossa è rimasto accasciato in auto fino alle 7.30 quando due netturbini, passando per via Fracchia, hanno scorto il suo corpo crivellato. Molti, in quelle prime ore del mattino, avevano attraversato quella strada stretta senza notare nulla, senza capire che quell’auto col vetro laterale infranto racchiudeva il cadavere di un uomo”.
“Verso le 8.30 odierne - dichiarava Guido Rossa il 25 ottobre 1978 - mi trovavo presso l’officina centrale del suddetto centro siderurgico (ndr l’Italsider di Genova). Alcuni operai di questo reparto mi hanno portato un opuscolo delle Brigate rosse e mi hanno detto di averlo trovato nella cabina della macchina del caffè. Ho preso l’opuscolo e mi sono recato presso l’ufficio del Consiglio di fabbrica. Durante il tragitto mi sono fermato presso le macchine del caffè del reparto C.M.C. allo scopo di accertare se anche in questi luoghi vi fossero degli opuscoli del tipo di cui sopra. In tutti e tre i suddetti posti ho visto l’impiegato Berardi Francesco”.
Guido Rossa continua così il suo racconto: “D’accordo con i miei compagni abbiamo deciso di portare l’opuscolo ai servizi di vigilanza dello stabilimento. Sceso al piano inferiore del Consiglio di fabbrica ho visto il Berardi Francesco che presentava un rigonfiamento sotto la camicia che indossava, con sopra la giacca, come se avesse un pacco di opuscoli più o meno della stessa misura di quello rinvenuto nell’officina. (…) Appena il Berardi è uscito dal Cdf ho riferito al Contrino Diego, membro del Cdf, il sospetto che il Berardi nascondesse sotto la camicia degli opuscoli delle Br e l’ho invitato a seguirlo allo scopo di sorprenderlo mentre disponeva detti opuscoli in qualche zona dello stabilimento. Appena sono uscito assieme al Contrino dalla porta del Cdf, sul davanzale, abbiamo rinvenuto un opuscolo dello stesso tipo di quello descritto. Il Berardi, in quel momento, si trovava a circa 20 metri. (…) Non ho altro da aggiungere”.
Al comando a pochi passi dall’Italsider l’appuntato di turno scrive la denuncia e invita il gruppo di operai e delegati in attesa a firmare. Firma solo Guido. Il 30 ottobre si apre il processo contro Berardi. Rossa, unico testimone, conferma la sua accusa durante il dibattimento, una denuncia che gli costerà - di fatto - la vita quel terribile 24 gennaio.
La risposta del mondo del lavoro è gigantesca: scioperi spontanei, cortei, assemblee si svolgono in tutte le principali fabbriche italiane: da Milano a Torino, da Firenze a Taranto, da Napoli a Bologna l’Italia dice no all’ennesimo atto di violenza. Le istituzioni decidono per i funerali di Stato, che si svolgono in piazza De Ferrari il 27 gennaio alla presenza del presidente della Repubblica Sandro Pertini. A dispetto del cerimoniale, il presidente spingerà per incontrare i camalli del porto.
“Il prefetto glielo sconsigliò, perché, disse, c’era simpatia per le Br. Ma Pertini insistette fino a che non lo accompagnarono al porto”, racconterà Antonio Ghirelli, ex portavoce del Quirinale: “Entrò in un grosso container, con le gigantografie di Lenin e Togliatti alle pareti. E, nonostante i suoi ottantadue anni, scattò sulla pedana e in mezzo a un pesantissimo silenzio, urlò a centinaia di portuali: 'Non sono qui come presidente, sono qui come Sandro Pertini, vecchio partigiano e cittadino di questa Repubblica democratica e antifascista. Io le Brigate rosse le ho conosciute tanti anni fa, ma ho conosciuto quelle vere che combattevano i nazisti, non questi miserabili che sparano contro gli operai'”. Aggiungerà il presidente: “Questa democrazia, anche se qualcuno non è soddisfatto (nulla è perfetto a questo mondo), è una nostra conquista, una conquista della Resistenza e mi conforta che la classe lavoratrice lo abbia compreso”.
“Nel corso della sua lotta per la difesa della democrazia e per la sua emancipazione, il movimento operaio ha conosciuto molti nemici”, aggiungerà Luciano Lama a nome della Federazione unitaria: “Ma questi sono fra i più vili perché operano come i fascisti e hanno lo stesso obiettivo dei fascisti, anche se si coprono con una bandiera che non è la loro”.
“Sai qual è la differenza tra noi e le Br?”, recitava un anonimo, bellissimo biglietto di un operaio a lui dedicato: “Noi con le nostre lotte tendiamo a estrarre il meglio che c’è nell’uomo. Loro il peggio. Noi la solidarietà tra gli uomini, loro l’omicidio. Quando si aspetta un operaio sotto casa e gli si spara alle spalle si è fascisti, non ho altro da aggiungere”.