PHOTO
Il 9 luglio 2001 la Corte d’appello di Santiago del Cile stabilisce che Augusto Pinochet non è processabile temporaneamente per "moderata demenza" Augusto Pinochet, militare cileno, comandante delle forze armate dal 1973, l’uomo che guidò il golpe che depose il governo di Salvator Allende instaurando un sanguinoso regime dittatoriale. Un regime durato 17 anni. Una dittatura militare che conterà nei numeri ufficiali oltre 3.500 morti, 1.200 sparizioni forzate, quasi 29mila vittime di tortura.
Dopo mesi di tensioni e tentativi di restaurazione caduti nel vuoto, l’11 settembre 1973 le forze armate cilene da lui guidate realizzavano il rovesciamento del governo democraticamente eletto presieduto da Salvador Allende. Sebbene perfettamente cosciente che il colpo di Stato sarebbe andato a buon fine, il presidente continuerà fino alla fine a dare indicazioni ai suoi sostenitori legittimando con la sua coraggiosa azione la futura resistenza cilena.
“Sicuramente Radio Magallanes sarà zittita e il metallo tranquillo della mia voce non vi giungerà più - dirà al suo popolo -. Non importa. Continuerete a sentirla. Starò sempre insieme a voi. Perlomeno il mio ricordo sarà quello di un uomo degno che fu leale con la patria. Il popolo deve difendersi ma non sacrificarsi. Il popolo non deve farsi annientare né crivellare, ma non può nemmeno umiliarsi. Lavoratori della mia patria, ho fede nel Cile e nel suo destino. Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro in cui il tradimento pretende di imporsi. Sappiate che, più prima che poi, si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali passerà l’uomo libero, per costruire una società migliore. Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori! Queste sono le mie ultime parole e sono certo che il mio sacrificio non sarà invano, sono certo che, almeno, sarà una lezione morale che castigherà la fellonia, la codardia e il tradimento”.
È l’inizio della dittatura, un regime che negli anni a seguire causerà migliaia morti, desaparecidos, incarcerati ed esiliati per ragioni politiche. Negli anni Duemila un dossier della Commissione Valech voluta dall’allora presidente della Repubblica, Ricardo Lagos, per far luce sulla prigionia politica e la violenza negli anni della dittatura militare, rivelerà come tra i torturati dal regime ci fossero anche bambini minori di dodici anni. È incalcolabile il numero delle persone fatte sparire nel nulla. Migliaia saranno le donne stuprate.
Nel 1998, il giudice spagnolo Baltasar Garzón emetterà contro Pinochet un mandato di cattura internazionale per la scomparsa di cittadini spagnoli durante la dittatura. Il dittatore sarà accusato di genocidio, terrorismo e tortura. Arrestato a Londra il 2 marzo del 2000 tornerà in Cile dove riuscirà ad evitare qualsiasi processo. Il 9 luglio 2001 la corte d’appello di Santiago accoglierà infatti la richiesta dei difensori dell’ex dittatore sospendendo "temporaneamente" tutti i procedimenti contro di lui per ragioni di salute.
“È una sconfitta per la giustizia in Cile, per mettere fine all’impunità e approfondire la democrazia di questo Paese”, commenterà Carmen Hertz, avvocato di parte civile.
“È incredibile - sarà il commento di Amnesty - che dopo tanto tempo l’autorità giudiziaria non sia stata capace di emettere un verdetto sulla vicenda 'Carovana della morte'. Speriamo che gli altri militari implicati nelle stragi vengono giudicati al più presto”.
Certamente non presto come auspicato, ma lo scorso 1° luglio è arrivata la prima condanna diventata definitiva per tre degli ex militari cileni (il colonnello Rafael Francisco Ahumada Valderrama, il sottoufficiale Orlando Vasquez Moreno e il brigadiere Manuel Vasquez Chahuan) imputati nel processo Condor, tra i protagonisti del colpo di Stato dell’11 settembre, condannati a vita per l’omicidio e la sparizione di due cittadini italiani. I tre ex militari erano già stati condannati all’ergastolo dalla Corte d’Appello di Roma l’8 luglio 2019 insieme ad altre 21 persone, tutte riconosciute colpevoli del sequestro e l’omicidio di 23 cittadini di origine italiana residenti in Bolivia, Cile, Perù e Uruguay, nell’ambito del processo sul Plan Condor.
Per i tre ex militari la condanna è già diventata definitiva, non avendo i loro difensori presentato ricorso in Cassazione. Sugli altri 21 imputati (divenuti nel frattempo 19 dopo i decessi dell’ex ministro dell’Interno boliviano Luis Arce Gómez e dell’uruguayo José Horacio “Nino” Gavazzo Pereira) si attende il pronunciamento dell’Alta Corte.