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L’8 giugno del 1982 Enzo Biagi chiedeva a Primo Levi: “Come nascono i lager?”. Risposta: “Facendo finta di nulla”. L’incontro andava in onda su Raiuno nel programma “Questo secolo”.
Partigiano antifascista, il 13 dicembre 1943 Primo Levi veniva arrestato dai fascisti in Valle d’Aosta, venendo prima mandato in un campo di raccolta a Fossoli e, nel febbraio dell’anno successivo, deportato nel campo di concentramento di Auschwitz in quanto ebreo.
Scampato al lager, tornerà in Italia, dove si dedicherà con impegno al compito di raccontare le atrocità viste e subite alla cui narrazione dedicherà la sua intera esistenza.
Se comprendere è impossibile, era solito dire, conoscere è necessario. Perché ciò che è accaduto può ritornare e le coscienze possono ancora essere corrotte. Anche le nostre.
“Può accadere - scriveva ne I sommersi e i salvati - e dappertutto. Non intendo né posso dire che avverrà; (...) è poco probabile che si verifichino di nuovo, simultaneamente, tutti i fattori che hanno scatenato la follia nazista, ma si profilano alcuni segni precursori. La violenza, ‘utile’ o ‘inutile’, è sotto i nostri occhi: serpeggia, in episodi saltuari e privati, o come illegalità di stato (...) Attende solo il nuovo istrione (non mancano i candidati) che la organizzi, la legalizzi, la dichiari necessaria e dovuta e infetti il mondo. Pochi paesi possono essere garantiti immuni da una futura marea di violenza, generata da intolleranza, da libidine di potere, da ragioni economiche, da fanatismo religioso o politico, da attriti razziali. Occorre quindi affinare i nostri sensi, diffidare dai profeti, dagli incantatori, da quelli che dicono e scrivono ‘belle parole’ non sostenute da buone ragioni”.
“La memoria è come il mare: può restituire brandelli di rottami a distanza di anni” e Levi non riuscirà mai a dimenticare quel suo passato così pieno di atrocità e orrori.
Nell’aprile del 1987 il suo corpo viene rinvenuto alla base della tromba delle scale della sua abitazione. Benché l’ipotesi di gran lunga più accreditata sia quella del suicidio («Schiacciato dal fantasma dei lager», titolava il Corriere) alcuni sosterranno che la caduta potesse essere stata provocata dalle forti vertigini di cui Levi soffriva. “Non riesco più a scrivere”, diceva tre giorni prima della morte a Giulio Einaudi.
I funerali dello scrittore cominciano alle 14 e 30 del 13 aprile 1987 all’Istituto di Medicina legale. Alle esequie prendono parte Norberto Bobbio, Giulio Einaudi, Piero Fassino, i colleghi della Siva (Società industriale vernici affini di Settimo Torinese dove Levi aveva lavorato per trent’anni), associazioni di deportati, ragazzi con la kippa.
“Assente il governo - riporta Repubblica - distratto di fronte al dramma e tutto compreso in altre operazioni. Assente la grande industria torinese. Assente la grande finanza, il mondo delle banche, l’economia torinese. Levi non aveva nulla a che fare con quel mondo osserva qualcuno. È vero. Ma l’assenza c’è e si nota. C’è invece la Torino che ha amato e capito lo scrittore, quella che ha sempre visto in lui l’insostituibile testimone dell’immane tragedia dei campi di sterminio di cui era stato vittima-protagonista. Ci sono i fazzoletti a strisce blu e grigie degli ex deportati politici presenti con il presidente nazionale dell’Associazione, senatore Maris, e con il vicepresidente Dario Segre. Sono loro che portano a spalla il feretro dietro il gonfalone decorato dell’Associazione”.
“È morto un autore le cui opere ce le troveremo di fronte al momento del Giudizio Universale”, sarà - sul Corriere della Sera - il commento di Claudio Magris.
“L’Olocausto - aggiungeva Norberto Bobbio, che di Primo Levi fu amico personale - è stato il suo grande tema, ha cercato di far capire con intensa lucidità e distacco l’immensità di questa tragedia. Primo non era emotivo, era razionale come può esserlo chi, come lui, è stato anche uno scienziato. Del laido conato dei revisionisti ne avevamo parlato. A lungo. Ed era indignato, come me d’altronde. È da stamane che tutto questo mi sembra impossibile. Mi sembra impossibile non poter più far conto sulla sua serenità, sul suo coraggio, sulla dolcezza del suo carattere. È un evento inspiegabile e per questo più doloroso”.