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Il 15 maggio 1935 Vittorio Foa veniva arrestato dal regime fascista su delazione dell’informatore dell’Ovra Pitigrilli. Resterà in carcere fino al 23 agosto 1943, passando con la caduta di Mussolini dal carcere all’illegalità nella Resistenza.
Deputato alla Costituente, darà un determinante contributo alla stesura degli artt. 39 e 40 della Costituzione sulla libertà di organizzazione sindacale e sul diritto di sciopero. Deputato per tre legislature (dal 1987 al 1992 è senatore), nel 1955 diventa segretario nazionale della Fiom per passare, alla morte di Giuseppe Di Vittorio, alla segreteria della Cgil (nel 1970 decide di lasciare gli incarichi sindacali per dedicarsi agli studi).
“Voi sapete che questo distacco è difficile”, dice nel suo discorso di addio alla Confederazione: “Mi consentirete di non vestire di parole dei sentimenti che sono agitati e profondi. Vi prego caldamente, in ragione di un’antica stima reciproca, di dispensarvi da parole di commemorazione o gratificazione. Voglio solo ringraziarvi tutti, e con voi mille e mille compagni noti o sconosciuti, per quel che in tanti anni avete fatto di me”.
“Età e ragioni di salute - affermava lasciando la Confederazione - mi hanno indotto a dimettermi da segretario della Cgil. Si è amichevolmente osservato che l’età non si misura col numero degli anni. Resta il fatto che, l’attenzione dovuta al merito che uno ha acquisito con molti anni di lavoro, contraddice la cruda necessità di congedare chi è logorato. Solo rimedio utile per attenuare quella contraddizione è la fissazione di un limite di età oggettivo, impersonale, oltre il quale si deve partire non per incapacità soggettiva, ma per una norma. E in questo caso la norma vale se non vi sono eccezioni”.
Foa così prosegue: “Si è anche osservato che uno deve, per la Causa, sopportare i malanni dell’età e una salute deteriorata. Ma se la salute ha poca importanza per i singoli, essa ne ha molta per l’organizzazione, soprattutto quando si tratta di quel logoramento tipico del lavoro sindacale che coinvolge il modo di lavorare, la calma e la necessaria capacità di percezione dei particolari del movimento, fuori degli schemi generici”.
“Essere a sinistra - spiegava spesso - vuol dire essere qui e anche altrove, vivere oggi e contemporaneamente domani; vuol dire agire per sé e anche per gli altri (…) Non solo io, ma gli altri; non solo qui, ma altrove; non solo oggi, ma domani”.
“Sembrava che ridesse sempre - scriveva di lui Concita De Gregorio sull’Unità - anche quando parlava serio. Anche in questa foto qui sopra dove forse ride davvero, chissà, non è proprio un sorriso in effetti: è quel suo modo di stare al mondo con i pugni chiusi, la fronte alta, la coscienza limpida e nelle parole un dubbio, sempre. Alla fine di ogni frase una domanda, perpetua ricerca. Mai un lamento. Di tutti gli altissimi insegnamenti che Vittorio Foa, morto alla fine di un secolo irripetibile, ci lascia in dote, questo che sembra un dettaglio mi pare stasera il più grande. Quel sorriso, diverso e lo stesso in tutte le foto e i ricordi. Ciò che in una vita come la sua un sorriso perpetuo significa: andare avanti, pensare agli altri, provare ancora, non chiudersi, non arrendersi”.
Affermava lui stesso all’interno del volume Cent’anni dopo. Il sindacato dopo il sindacato: “Nel lavoro della formazione e soprattutto in quella che il dirigente dà agli altri dirigenti, nella continuità del suo lavoro, vi è un elemento molto importante, e non si tratta della disciplina, ma è la lotta contro il conformismo. Non bisogna accusare l’indisciplina. Non c’è niente di male a essere indisciplinati, se nell’indisciplina c’è una volontà. La cosa peggiore è quando la volontà non c’è più, quando si sceglie sempre di dare retta ad altri. L’insegnamento da dare ai compagni è che pensino con la loro testa. Possono anche pensare male, ma l’importante è che pensino con la loro testa. Questa è la vita che io credo di avere vissuto nella Cgil e credo di aver amato nella Cgil più di ogni altra cosa”.
Parole che tratteggiano una personalità straordinaria, fresca, incredibile, originale, di una grande curiosità intellettuale. Una personalità ben riassunta dalla frase - notissima - rivolta a Pisanò durante un dibattito televisivo: “Se avesse vinto lei - affermava Vittorio - io sarei ancora in prigione. Avendo vinto io, lei è senatore della Repubblica e parla qui con me”.
È proprio nei momenti di sbandamento della razionalità delle nostre azioni, quando la mente e la volontà sono screditate, è proprio allora che occorre non già bendarsi, ma tenere gli occhi bene aperti e tentare di riasserire quella razionalità e riabilitare la volontà e l’intelligenza decaduti (Vittorio Foa, 19 febbraio 1939).