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“Onorevoli colleghi - afferma Girolamo Li Causi all’Assemblea costituente nella seduta del 15 luglio 1947 - non è la prima volta che ci occupiamo della Sicilia e credo che non sarà nemmeno l’ultima”. Non aveva torto, purtroppo. Nel secondo dopoguerra siciliano, fra il 1944 e il 1948, i sindacalisti che cadono sotto i colpi della criminalità organizzata sono più di 40.
Gli atti terroristici contro il movimento contadino e i suoi dirigenti cominciano con l’uccisione di Andrea Raia il 5 agosto 1944, cui fa seguito - poco più di un mese dopo, il 16 settembre - l’attentato a Girolamo Li Causi, segretario regionale del Pci, durante un comizio a Villalba, feudo di don Calò Vizzini. “Fu quello il mio primo bagno nella mafia del feudo, la mafia che aveva le terre in affitto”, ricorderà anni dopo Emanuele Macaluso. Gli assalti alle Camere del lavoro della Cgil ancora unitaria, le intimidazioni e i pestaggi dei suoi dirigenti, i primi omicidi proseguiranno negli anni seguenti.
Il 21 dicembre 1946 Nicolò Azoti viene assassinato. “Come ogni sera tornava dalla Camera del lavoro - racconterà anni dopo la figlia - sentii le urla straziate di mia madre, poi nulla più”. Il 4 gennaio 1947, a Sciacca, provincia di Agrigento, la mafia uccide davanti alla porta della sua abitazione Accursio Miraglia, segretario della locale Camera del lavoro e dirigente comunista. Il 13 febbraio 1947 a Villabate (Palermo) muore Nunzio Sansone, militante comunista impegnato nella lotta per la riforma agraria, fondatore e segretario della locale Camera del lavoro. Lo stesso giorno a Partinico, sempre in provincia di Palermo, viene ucciso Leonardo Salvia, anch’egli in prima fila nelle lotte per la distribuzione delle terre. Pochi mesi dopo il massacro di Portella, la prima strage di Stato dell’Italia repubblicana, rimasta impunita.
Il 2 marzo del 1948 è ucciso in contrada Raffo, a Petralia Soprana (Palermo), il capolega della Federterra Epifanio Li Puma, mezzadro e socialista. Il 1° aprile viene assassinato a Camporeale, al confine tra le province di Trapani e Palermo, il segretario della Camera del lavoro Calogero Cangelosi, anch’egli socialista. Al centro, nel tempo e nello spazio fra questi due delitti si colloca, il 10 marzo, l’assassinio di Placido Rizzotto. Un tributo di sangue che continua anche negli anni successivi, con l’uccisione, tra gli altri, di Salvatore Carnevale (16 maggio 1955), Vincenzo Di Salvo (17 marzo 1958), Pio La Torre (30 aprile 1982). Un elenco lungo. Lunghissimo.
“Per la Cgil e per le forze di progresso - scriveva Carlo Ghezzi - la lotta alle mafie, alle violenze, a ogni forma di illegalità antica o nuova hanno sempre rappresentato una delle grandi priorità, quasi una precondizione per poter puntare ad avere un ruolo e a svolgere una funzione per uno sviluppo diverso del Paese. Un impegno per il quale sono stati pagati pesanti tributi, che però hanno saputo conferire grande spessore e grande concretezza alla capacità del sindacato di guidare anche nei momenti più difficili, contro la mafia e contro le diverse forme di criminalità organizzata, le forze migliori del Mezzogiorno e dell’Italia”. “Quale era il nostro convincimento? - ci diceva Macaluso in risposta ad una nostra domanda - Che era un prezzo da pagare…”. Un prezzo che in tanti, in troppi hanno pagato.