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Dopo i fatti di Licata e Roma, il 7 luglio 1960 a Reggio Emilia si scende di nuovo in piazza. La polizia spara nuovamente contro i dimostranti e cinque persone rimangono a terra uccise: Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Emilio Reverberi, Marino Serri e Afro Tondelli. Tutti e cinque operai e comunisti, alcuni ex partigiani.
Lauro ha 22 anni, è sposato e padre di un bambino; Ovidio di anni ne ha 19, è il più giovane dei caduti, il “bambino del 7 luglio” come scriverà Carlo Levi; Marino ha 41 anni, è ex-partigiano della 76ª SAP, è sposato e padre di due bambini; Afro ha 36 anni, è il quinto di otto fratelli e anche lui è un ex-partigiano come Emilio - sposato, con due figli - che di lavoro fa l’operaio e di anni ne ha 39 anni.
A tenere vivo il ricordo di quella terribile giornata resterà per sempre la registrazione dei suoni della piazza effettuata da un negoziante che si trovava sul posto e che, invece del comizio, registrò i rumori di quello scontro. Trentacinque minuti ripresi casualmente e incisi su un disco: grida, spari, sirene di ambulanze e di polizia. Una voce che grida ‘assassini’.
Dell’episodio dirà Pier Paolo Pasolini: “Spero che nessun registratore serva mai più a stampare dischi come questo. Che è il più terribile - e anche profondamente bello - che abbia mai sentito”.
Al funerale, in forma civile e unico per le cinque vittime, parteciperanno migliaia di persone, fra le quali molti esponenti politici: tra questi Ferruccio Parri, Palmiro Togliatti, Nilde Iotti, delegazioni del Pci, Psi e del Psdi, esponenti della Resistenza, delle forze antifasciste, Luciano Romagnoli e Fernando Santi per la Cgil.
La segreteria confederale rimane riunita in seduta permanente dal 7 al 9 luglio e all’appello affinché “in tutto il Paese si elevasse la ferma protesta dei lavoratori come un severo monito contro ogni attentato alle libertà democratiche e al sentimento antifascista del popolo italiano” seguirà la proclamazione dello sciopero generale per il giorno successivo.
Scriverà in quei giorni Luciano Romagnoli su Rinascita: “Che cosa era in discussione a Genova? E, dopo ancora, a Licata, a Roma e a Reggio Emilia? Che cos’era in discussione nel paese? Era il fondamento stesso dello Stato democratico: l’antifascismo, la resistenza e la Costituzione repubblicana”.
“Sentiamo che è necessario sia abbandonata la strada dei conflitti a ripetizione, degli scontri, degli eccidi - sarà il commento di Palmiro Togliatti -. Ma condizione prima di essa è che il Paese sia liberato dal vergognoso connubio del governo con il fascismo”.
La reazione è fortissima. Lo sciopero generale scuote il Paese e la polizia spara un’altra volta, l’8, sui braccianti che sono scesi in strada in Sicilia. Sono altri morti.
La cultura italiana unita grida il suo No al fascismo! Attraverso un documento significativo firmato a Milano dalle più autorevoli personalità culturali. Gli esami vengono sospesi nella facoltà di Lettere a Roma e a Bologna. Si sciopera nella facoltà di Fisica di Pisa, chiude l’Università di Padova.
A Napoli sul palco antifascista c’è anche Eduardo De Filippo.