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Il 12 luglio del 1555, a meno di due mesi dalla sua ascesa al soglio pontificio, papa Paolo IV istituisce il primo ghetto ebraico a Roma con la pubblicazione della bolla Cum nimis absurdum. È la prima delle bolle papali che lo storico Attilio Milano ha qualificato - insieme alla Hebraeorum gens (1569) e alla Caeca et obdurata (1593) - come bolle infami.
Recita il documento: “(…) è oltremodo assurdo e disdicevole che gli ebrei, che solo la propria colpa sottomise alla schiavitù eterna, possano, con la scusa di esser protetti dall'amore cristiano e tollerati nella loro coabitazione in mezzo ai cristiani, mostrare tale ingratitudine verso di questi, da rendere loro offesa in cambio della misericordia ricevuta, e da pretendere di dominarli invece di servirli come debbano; Noi, avendo appreso che nella nostra alma Urbe e in altre città e paesi e terre sottoposte alla Sacra Romana Chiesa, l'insolenza di questi ebrei è giunta a tal punto che si arrogano non solo di vivere in mezzo ai cristiani e in prossimità delle chiese senza alcun distinzione nel vestire, ma che anzi prendono in affitto case nelle vie e piazze più nobili, acquistano e posseggono immobili, assumono balie e donne di casa e altra servitù cristiana, e commettono altri misfatti a vergogna e disprezzo del nome cristiano (…)” decretiamo… seguono le disposizioni.
La bolla prevedeva che gli ebrei dovessero, tra le altre cose vivere in un luogo separato dalle case dei cristiani, portare un segno distintivo di colore turchese (un cappello per gli uomini e un fazzoletto per le donne), non tenere servitù cristiana, redigere i libri contabili e le registrazioni relative ad affari con cristiani solo in lingua italiana, non curare cristiani (per i medici ebrei), non lavorare o far lavorare i dipendenti nei giorni festivi per i cristiani.
Caeca et obdurata è una bolla pontificia di papa Clemente VIII del 25 febbraio 1593. Con questa bolla il papa ribadiva le disposizioni già prese dal suo predecessore Pio V con la Hebraeorum gens del 1569, ossia l’espulsione di tutti gli Ebrei dallo Stato Pontificio, a esclusione dei ghetti di Roma ed Ancona. Queste regole rimarranno, pur se con qualche modificazione, in vigore fino alla fine del 1800.
Con la proclamazione del Regno d’Italia e la successiva annessione dello Stato Pontificio allo Stato italiano spariranno le restrizioni e i divieti, ma la storia è a volte tristemente portata a ripetersi e il fascismo riprenderà buona parte del contenuto delle bolle infami, applicandone, in periodi diversi, le norme. Il 16 ottobre del 1943 è il sabato nero del ghetto di Roma. I nazisti che occupano la capitale rastrellano l’area dell’antico ghetto ebraico e catturano più di 1.200 cittadini romani: donne, uomini, circa 200 bambini e bambine. Mille di loro saranno deportati ad Auschwitz. Solo 15 uomini e una donna ritorneranno a casa dalla Polonia.
Ai deportati viene consegnato un foglietto con le indicazioni da seguire. “1. Insieme con la vostra famiglia - vi si legge - e con gli altri ebrei appartenenti alla vostra casa sarete trasferiti. 2. Bisogna portare con sé: a) viveri per almeno otto giorni; b) tessere annonarie; c) carta d’identità; d) bicchieri. 3. Si può portare via: a) valigetta con effetti e biancheria personale, coperte; b) denaro e gioielli. 4. Chiudere a chiave l’appartamento … 5. Ammalati, anche casi gravissimi, non possono per nessun motivo rimanere indietro. Infermeria si trova nel campo. 6. Venti minuti dopo la presentazione di questo biglietto la famiglia deve essere pronta per la partenza”.
“La schiavitù arrivò anche per noi - racconterà una sopravvissuto - Il nuovo faraone si chiamava Mussolini. Nel 1938 emanò le leggi che ci discriminarono. Eravamo considerati uomini di razza inferiore. Molti ebrei furono costretti ai lavori forzati lungo gli argini del Tevere e molti altri persero il lavoro … Il 16 ottobre 1943 ci svegliammo con i tedeschi alle porte che volevano portarci via. Per tutta la notte precedente c’erano stati tanti spari che ci eravamo detti: 'Ecco, stanno distruggendo il Tempio!'. In realtà era tutta una messinscena per costringere la gente a restare chiusa in casa".
"I tedeschi arrivarono dalla parte del teatro Marcello e si fermarono con le macchine e i camion vicino al tempio. In casa eravamo in otto e fummo avvertiti da una vicina. Pensavamo che i nazisti fossero venuti a prendere gli uomini, e quindi li facemmo scappare dal tetto. Poi ci accorgemmo che portavano via famiglie intere, e scappammo tutti. Quelle furie continuavano a spingere uomini, donne e bambini sui camion e chi di noi poteva provava a mettersi in salvo. La gente che passava e ci vedeva diceva: 'Questi so’ giudii che scappano'. Al termine della razzia deportarono ad Auschwitz oltre mille ebrei. Io mi salvai perché riuscii a scappare per strada e mentre cercavo un luogo per nascondermi un prete mi prese sottobraccio e mi condusse nella chiesa di Sant’Angelo in Pescheria, alle porte del ghetto. Per nove mesi fui ospitata in quel luogo insieme ad altri ebrei. Alcuni fedeli della chiesa e altri cattolici vennero a portarci il cibo. Mio padre invece non si salvò. Fu catturato dai tedeschi il 21 aprile 1944 e condotto in uno dei campi della morte con l’ultimo convoglio che partì a maggio”. Meditiamo. Perché questo è stato.