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La mattina del 14 luglio 1948, il segretario del Partito comunista italiano Palmiro Togliatti viene ferito dai colpi di pistola sparati da un giovane studente siciliano, Antonio Pallante.“Stamane - recita il comunicato Ansa delle ore 12 - recita verso le ore 11.30, mentre l’onorevole Togliatti usciva dalla porta del palazzo di Montecitorio, in compagnia dell’on. Leonilde Jotti, veniva affrontato da un giovane, che poi si è appreso essere tale Antonio Pallante, studente universitario venticinquenne, il quale gli sparava contro alcuni colpi di rivoltella - sembra quattro - tre dei quali lo raggiungevano in varie parti della regione toracica”.
La notizia dell’attentato rimbomba immediatamente in Parlamento. Secchia e Longo seguono Togliatti al Policlinico. Si riunisce la Direzione del Partito. All’ospedale arrivano Nenni e - da Trento dove sua figlia sta partorendo - De Gasperi. Giuseppe Di Vittorio, membro della delegazione che ha partecipato alla XXXI Conferenza del Bureau International du Travail negli Stati Uniti, rientra a Roma la mattina stessa dell’attentato.
“Ciampino era animato più del solito - ricorderà anni dopo Anita - e Peppino si guardava attorno interrogativo quando un ufficiale, seguito da altra gente, lo raggiunse di corsa gridandogli: ‘Onorevole! Hanno ucciso Togliatti!’. E un altro di rincalzo: ‘No, non è morto… È grave ma è vivo ancora…’. Il colpo fu terribile. Vidi il volto di Peppino impallidire e poi immediatamente irrigidirsi in uno sforzo di volontà. ‘Chiama subito la Confederazione’, mi ordinò. Il comandante ci avvertì: ‘Sarà difficile telefonare. C’è lo sciopero generale’. ‘Com’è possibile? - chiese Peppino - Bitossi avrebbe potuto avvertirmi’. Lo informarono allora che l’attentato aveva avuto luogo appena due ore prima e che lo sciopero era esploso immediatamente, senza alcuna direttiva della Confederazione”.
Il Paese è percorso da una scossa elettrica. Operai e contadini scendono in piazza. Parte lo sciopero generale, prima spontaneo e poi ufficiale. Sarà - dirà lo storico Sergio Turone - “lo sciopero generale più completo e più esteso che si sia mai avuto nella storia d’Italia”.
“Calma, mi raccomando, calma, non facciamo sciocchezze”, continua a ripetere il Migliore. “Fin dal primo momento - ricorderà Nilde Iotti - la preoccupazione di Togliatti, anche mentre lo trasportavano dall’infermeria della Camera all’autoambulanza, fu di non perdere la calma. ‘State calmi, non perdete la testa’, mi disse più volte. Parlava con fatica ma anche con grande precisione, perché le sue parole fossero ben comprese da Longo, Secchia, D’Onofrio, Scoccimarro, praticamente lo Stato maggiore del Partito”. Il Comitato esecutivo della Cgil si riunisce solo nel pomeriggio prendendo atto dello sciopero già in atto senza fissarne inizialmente il termine.
Sono le ore più drammatiche della breve storia repubblicana. Si registrano morti a Napoli, Genova, Livorno, Taranto. Gli operai della Fiat di Torino sequestrano nel suo ufficio l’amministratore delegato Vittorio Valletta. Buona parte dei telefoni pubblici smette di funzionare, si blocca pressoché completamente la circolazione ferroviaria. Il Governo mette in campo l’esercito. Ricompaiono le armi.
L’ordine di cessazione sarà comunicato nella notte del 15 luglio. Quel giorno Bartali vincerà un’importante tappa del Tour de France (e il 25 il Tour stesso): un’impresa sportiva notevole visto che Bartali all’epoca aveva 34 anni. Qualcuno sosterrà che l’entusiasmo per questo risultato contribuì a distrarre i manifestanti dai loro intenti di protesta e rivolta. Intervistato anni dopo da Epoca, in realtà Bartali smentirà decisamente la connessione tra i due eventi.