PHOTO
Il 12 luglio del 1904 nasce a Parral Pablo Neruda, pseudonimo di Ricardo Eliécer Neftalí Reyes Basoalto, poeta insignito nel 1971 del Premio Nobel per la letteratura, diplomatico e politico cileno, il più grande poeta del XX secolo, in qualsiasi lingua, nelle parole di Gabriel García Márquez. Comunista, esule e perseguitato politico, sostenitore di Salvador Allende, morirà poco dopo il golpe del generale Augusto Pinochet nel 1973, ufficialmente di tumore ma in circostanze ritenute dubbie.
“Il Poeta - scriverà Isabel Allende - agonizzò nella sua casa vicino al mare. Era malato e gli eventi degli ultimi tempi esaurirono il suo desiderio di vivere. La truppa gli aveva violato la casa, avevano rovistato tra le sue collezioni di conchiglie, di chiocciole, tra le sue farfalle, tra i suoi libri, tra i suoi quadri, tra i suoi versi inconclusi, cercando armi sovversive e comunisti nascosti finché il suo vecchio cuore di bardo non aveva cominciato a vacillare. Lo portarono alla capitale. Morì quattro giorni dopo e le ultime parole dell'uomo che aveva cantato alla vita furono: li fucilarono! Li fucileranno! Nessuno dei suoi amici poté stargli vicino nell'ora della morte, perché erano fuorilegge, profughi, esiliati o morti. La sua casa azzurra in collina era semirovinata, il pavimento bruciato e i vetri rotti, non si sapeva se fosse opera dei militari, come dicevano i vicini, o dei vicini, come dicevano i militari”.
Nel settembre del 1973 il premio Nobel stava per scappare in Messico. Tutto era pronto, ma ritardò la partenza di due giorni. Morì in questo intervallo di tempo. Perseguitato dal dittatore cileno Gabriel Gonzàlez Videla, Neruda era già fuggito dal proprio paese alla fine degli anni Quaranta rifugiandosi in Europa, prima a Parigi, dove partecipò al Congresso della Pace mondiale e, successivamente, a Roma, Napoli, infine Capri.
Qui incontrò i dirigenti del Partito comunista italiano e alcuni tra gli artisti e scrittori più noti del tempo, come Massimo Caprara, Antonello Trombadori, Mario Alicata, Elsa Morante, Renato Guttuso (proprio Guttuso, insieme con Mario Mafai, realizzò le illustrazioni delle prime opere nerudiane tradotte e pubblicate in Italia), Carlo Levi, Gaetano Macchiaroli, Paolo Ricci. Neruda venne accolto con entusiasmo nelle università, negli anfiteatri, nei porti, a Genova, Venezia, Torino, Milano, Firenze, Napoli.
Ma Scelba non era del tutto convinto della presenza nel nostro bel Paese di un senatore comunista esule e ai suoi occhi fuggitivo. Così qualche anno dopo il suo arrivo in Italia i poliziotti si presentarono all’albergo dove il poeta alloggiava. Con la scusa di un errore sul passaporto - ricorderà lui stesso - lo pregarono di seguirli in questura. Qui gli offrirono un caffè espresso e gli notificarono di dover lasciare il territorio italiano il giorno stesso. Neruda partì in treno lo stesso pomeriggio, ma all’arrivo a Roma accadde qualcosa di inaspettato. Arrivato alla Stazione Termini trovò un enorme corteo di solidarietà, tra cui Guttuso, Moravia e Elsa Morante – che si narra picchiò uno dei poliziotti in assetto antisommossa con il suo ombrellino rosa –, una folla che fece subito cambiare decisione al governo De Gasperi.
Così il poeta rimase in Italia, raggiunto dal telegramma dello storico Erwin Cero che gli offrì di passare alcuni mesi a Capri. Neruda accettò e si trasferì nell’isola con Matilde Urrutia. A Capri il poeta completò Los versos del capitàn, che i compagni italiani contribuiranno a far stampare, anonimo, a Napoli, in meno di 50 copie.
Don Pablo, vi devo parlare, è importante... Mi sono innamorato!
Ah, meno male! Non è grave, c'è rimedio.
No, no! Che rimedio... Io voglio stare malato.
“Lavoravo l’intera mattina - racconterà - e nel pomeriggio Matilde batteva a macchina le mie poesie. Per la prima volta vivevamo insieme nella stessa casa. In quel posto dalla bellezza inebriante il nostro amore crebbe. Non potemmo separarci più. Lì ho finito di scrivere un libro d’amore, appassionato e doloroso, che fu pubblicato poi a Napoli, anonimo: Los versos del capitán”.