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Alle 20 e 59 del 27 giugno 1980, sopra il braccio di mare compreso tra le isole italiane di Ponza e Ustica, un incidente aereo causa la morte di ottantuno persone. Durante il volo non viene segnalato nessun problema, ma poco prima delle 21 del DC 9 si perdono le tracce radar.
La mattina dopo tutti i giornali riportano notizie della tragedia e si cominciano anche a fare le prime ipotesi sulle cause del disastro. Dalla pista francese a quella americana, dal cedimento strutturale all’attentato terroristico: varie ipotesi saranno formulate nel corso degli anni riguardo alla natura, alla dinamica e alle cause dell’incidente. Ipotesi mai completamente accertate.
Quello che rimane certo è, purtroppo, il numero delle vittime. 81: 64 adulti, 11 bambini tra i due e i dodici anni, due bambini di età inferiore ai 24 mesi, oltre ai 4 uomini dell’equipaggio. Alessandra Parisi, ha 5 anni. Muore insieme alla sua mamma. Giuseppe Diodato ha un anno. Muore insieme ad Antonella, che di anni ne ha 7, e a Vincenzo che ne ha 10. Francesco Di Natale ha 2 anni, Tiziana Marfisi 5, Giuliana Superchi 11, Nicola Zanetti 6.
“Quell’aereo volava sicuro, su una rotta del tutto ufficiale, ma nell’ombra di quelle sue ali un conflitto tra stati scoppiò”.
Dopo anni di processi penali e teorie, la sentenza 1871 depositata il 28 gennaio 2013 dalla Terza sezione civile della Suprema Corte identificherà come causa della sciagura l’impatto del velivolo con un missile, condannando lo Stato italiano al risarcimento dei familiari delle vittime per aver eseguito controlli radar inadeguati.
“La strage avvenuta nel cielo di Ustica la sera del 27 giugno 1980 - diceva ormai qualche anno fa il presidente della Repubblica Sergio Mattarella - è impressa nella memoria della Repubblica con caratteri che non si potranno cancellare. Nella ricorrenza dei quarant’anni, sentiamo ancora più forte il legame di solidarietà con i familiari delle ottantuno vittime e ci uniamo nel ricordo di chi allora perse la vita, con una ferita profonda nella nostra comunità nazionale. La condivisione di tanto dolore è stata ed è anche motivo di testimonianza e di impegno civile. Il quadro delle responsabilità e le circostanze che provocarono l’immane tragedia tuttora non risulta ancora ricomposto in modo pieno e unitario. Tuttavia molta strada è stata percorsa dopo che reticenze e opacità erano state frapposte al bisogno di verità, incomprimibile per una democrazia e uno Stato di diritto. Non può e non deve cessare l’impegno a cercare quel che ancora non appare definito nelle vicende di quella sera drammatica. Trovare risposte risolutive, giungere a una loro ricostruzione piena e univoca richiede l’impegno delle istituzioni e l’aperta collaborazione di Paesi alleati con i quali condividiamo comuni valori. Il dovere della ricerca della verità è fondamentale per la Repubblica”.
Una verità, tante verità che per anni abbiamo aspettato, che ancora - in alcuni casi - continuiamo ad aspettare.
“Una strage, quella nei cieli di Ustica - scriveva nel giugno del 2020 Pino Casamassima - inseritasi coerentemente nel filone delle stragi italiane segnate da depistaggi, imbrogli, reticenze, falsità, e tutto quel che di peggio si può immaginare relativamente alla ricerca della verità. Perlomeno, quella giudiziaria. Da piazza Fontana in avanti, anzi, volendo essere più storicamente pignoli, da Portella della Ginestra del 1° maggio 1947 in avanti - le stragi, ora per questo, ora per quello, hanno falcidiato le vite di centinaia di 'persone normali'. Persone che cioè non avevano alcuna ambizione eroica, tantomeno votate al 'martirio', come risibilmente si sente spesso dire per le vittime di questa o quella strage. Una sciocchezza inenarrabile, ché il martirio è sacrificio della vita in nome della fede e, nella fattispecie di quegli eccidi - da Portella a Ustica, vicine per geografia e lontane per epoche - non c’era nessun aspirante martire. Di nessuna Chiesa. (Come nessun martire dobbiamo contare fra tutte le vittime delle tante, troppe stragi italiane). Non martiri né eroi dunque, ma tutte persone 'normali', la cui storia è finita nella Storia non per loro volontà, ché loro avrebbero consumato le loro vite nei giorni segnati dai compleanni, i matrimoni, le lauree, le assunzioni per quel nuovo lavoro così tanto ambito, i giorni radiosi e quelli scuri, delle lacrime e del riso. Normali”.
“Mettetevi nei panni di chi ha perso tutto - scriveva nell’agosto del 2019 Ilaria Moroni - di chi ha visto con i propri occhi i propri cari a brandelli, di chi ha lottato con il silenzio, l’indifferenza, la solitudine, di chi é stato deriso, usato, strumentalizzato, compatito, offeso; di chi ha dovuto seguire uno, due, tre, quattro, cinque, tanti, infiniti processi abbandonando famiglie, vite, lavoro, tutto; di chi non ha mai avuto giustizia o forse un po'... eppure non ha mai mollato e ha sempre continuato a stare in piedi cercando la verità, un po’ per lui ma di riflesso per tutti noi, per il paese: perché le stragi, il terrorismo, le mafie hanno colpito noi tutti, distrutto la nostra democrazia, minato la nostra costituzione”.
“Qualche giorno fa - raccontava nel febbraio del 2020 un lettore a Repubblica - mi sono trovato a Bologna dalle parti di via Giorgio Vasari per incontrare alcune persone. Dopo aver parcheggiato, mi sono reso conto di essere a pochi passi dal Museo della memoria di Ustica. Non ho resistito e sono entrato. Ero poco più che ventenne nel giugno 1980 quando accadde la tragedia. Sono cresciuto attraverso anni di depistaggi e di verità intuibili, ma mai completamente acclarate. Durante questi anni ci si è quasi dimenticati del dramma che le persone a bordo possano avere vissuto e del dolore insanabile che ha colpito i familiari. Ho osservato a lungo quel puzzle di pezzi pazientemente ricomposti rimanendo scosso, ma allo stesso tempo felice che la memoria di quel disastro non sia stata cancellata. Mi ha molto colpito la vista di uno dei finestrini della cabina di pilotaggio, fuso per effetto del calore generato dall’esplosione. Poco dopo sono uscito in lacrime ringraziando Bologna, l’Associazione dei famigliari delle vittime e il fatto che non tutti abbiano la memoria del pesce rosso. Un momento importante per riflettere. Bologna non dimentica i suoi morti nemmeno il 2 agosto, quando con un sole che spacca, il piazzale della stazione è pieno di gente, in memoria di quella sporca strage fascista. Stiamo inoltre assistendo ad una grande mobilitazione per Patrick, lo studente egiziano in Erasmus a Bologna, arrestato al suo ritorno in Egitto, per presunti reati di opinione. La forse più blasonata Università di Cambridge non mosse un dito, anzi dietro quel dito si è nascosta, per chiarire la propria posizione su Giulio Regeni. Per fortuna Bologna c’è”.
Bologna c’è. C’era. Ci sarà. Insieme a tutte e tutti noi, che non ci stancheremo mai di chiedere verità e giustizia per tutte e tutti. Per loro.
Per noi.