Il 2 giugno del 1946 in Italia si vota per il referendum istituzionale tra monarchia o repubblica e per eleggere l’Assemblea costituente. Gli italiani sceglieranno la repubblica, con 12.718.641 voti contro i 10.718.502 della monarchia. I voti validi saranno in totale 23.437.143; un milione e mezzo saranno le schede bianche o nulle.

Il sistema elettorale scelto per l’elezione della Assemblea costituente sarà quello proporzionale, con voto diretto, libero e segreto a liste di candidati concorrenti in 32 collegi plurinominali per eleggere 556 deputati. La legge elettorale prevedeva l’elezione di 573 deputati, ma le elezioni non si effettuarono nell’area di Bolzano, Trieste e nella Venezia Giulia, dove non era stata ristabilita la piena sovranità dello Stato italiano. Ad essere esclusi dal voto saranno anche i militari prigionieri di guerra nei campi degli alleati e gli internati in Germania.

In base al risultato delle urne, l’Assemblea risulterà così composta: Dc 35,2%, Psi 20,7%, Pci 20,6%, Unione democratica nazionale 6,5%, Uomo qualunque 5,3%, Pri 4,3%, Blocco nazionale delle libertà 2,5%, Pd’A 1,1%.

Per la prima volta a livello nazionale sono chiamate al voto anche le donne. Ma non voteranno in realtà proprio tutte le donne italiane. Saranno escluse dal diritto di voto attivo le donne citate nell’articolo 354 del regolamento per l’esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza: si trattava delle prostitute schedate che lavoravano al di fuori delle case dove era loro concesso di esercitare la professione.

Le elette saranno 21 su un totale di 556 deputati: nove del Partito comunista, nove della Democrazia cristiana, due del Partito socialista, una dell’Uomo qualunque. Provenienti da tutta la penisola, in maggioranza sposate (14 su 21) e con figli, giovani e dotate di titoli di studio (14 laureate), molte avevano preso parte alla Resistenza, pagando spesso personalmente e a caro prezzo le loro scelte, come Adele Bei, condannata nel 1934 dal Tribunale speciale a 18 anni di carcere per attività antifascista, Teresa Noce, messa in carcere e poi deportata, Rita Montagnana.

Pur tenendo conto delle istanze dei rispettivi partiti, le costituenti faranno spesso fronte comune sui temi dell’emancipazione femminile per superare i tanti ostacoli che rendevano difficile la partecipazione delle donne alla vita politica e non solo. L’esempio forse più pregnante di questo lavoro è la formulazione dell’art. 3 della Costituzione.

Si deve infatti a Lina Merlin l’introduzione della locuzione “di sesso” nell’elenco delle discriminazioni da superare ed è stata Teresa Mattei a volere la fondamentale aggiunta “di fatto” alla frase “limitando la libertà e l’uguaglianza dei cittadini”, nel comma sugli ostacoli di ordine economico e sociale da rimuovere per consentire lo “sviluppo della persona umana” e la partecipazione dei lavoratori alla vita del paese.

Delle 21 costituenti, 5 entrano nella famosa Commissione dei 75 : Maria Federici (Pci), Angela Gotelli (Dc), Nilde Iotti (Pci), Lina Merlin (Psi) e Teresa Noce (Pci). Una particolare attenzione viene da loro rivolta al tema della famiglia, a partire dall’uguaglianza dei coniugi: ci saranno nel corso dei lavori non pochi scontri con buona parte dei colleghi, i quali sostenevano la necessità di un sistema gerarchico all’interno della famiglia e l’ovvietà che al vertice si trovasse il marito.

Un altro tema fondamentale sarà il lavoro: tutela della maternità, parità dei salari, pari opportunità nell’accesso a tutte professioni saranno i temi maggiormente dibattuti. Particolarmente accesa fu la discussione relativa all’accesso alla Magistratura, per la quale le donne erano ritenute troppo emotive e sensibili.

La scelta delle costituenti di mettere ai voti un doppio emendamento riuscì a garantire il risultato che le donne volevano raggiungere: bocciato quello della Rossi-Mattei (120 voti su 153) che dichiarava esplicitamente il diritto femminile di accesso a tutti i gradi della Magistratura, passò quello della Federici che sopprimeva la parte limitante dell’articolo in discussione.

Le costituenti saranno unite nel voto favorevole all’art. 11, relativo al ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, e anche singolarmente si fanno promotrici di importanti diritti civili. Ad esempio Nadia Gallico Spano fu la prima ad affermare la necessità di stabilire l’uguaglianza fra figli nati all’interno e al di fuori del matrimonio e di cancellare la definizione di ‘figli di N. N.’ destinata a questi ultimi.

L’Assemblea costituente si riunisce per la prima volta il 25 giugno e lavorerà fino al 31 gennaio 1948 (anche se le sue commissioni funzioneranno fino al mese di aprile) per un totale di 375 sedute pubbliche, delle quali 170 dedicate alla Costituzione e 210 ad altre materie. L’Assemblea costituente voterà la fiducia ai Governi De Gasperi II, III e IV, approverà le leggi di bilancio per il 1947 e il 1948 e ratificherà i trattati di pace, firmati a Parigi il 10 febbraio 1947).

Come suo primo atto, il 28 giugno 1946, l’Assemblea si riunisce per l’elezione effettiva del Capo provvisorio dello Stato, designando Enrico De Nicola, al primo scrutinio con 396 voti su 501, superando la maggioranza dei tre quinti dei 556 componenti richiesta dal decreto.

Il 31 gennaio 1947 un Comitato di redazione composto da 18 membri presenterà all’Aula il progetto di Costituzione, diviso in parti, titoli e sezioni. Dal 4 marzo al 20 dicembre 1947 l’Aula discuterà il progetto e il 22 dicembre verrà approvato il testo definitivo. La Costituzione repubblicana sarà promulgata il 27 dicembre 1947 ed entrerà in vigore il 1° gennaio 1948.

“Ora vedete – diceva sette anni dopo la sua entrata in vigore Piero Calamandrei – io ho poco altro da dirvi. In questa Costituzione (…) c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato. Tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie son tutti sfociati in questi articoli. E a sapere intendere, dietro questi articoli ci si sentono delle voci lontane. Quando io leggo nell’art. 2, ‘l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale’, o quando leggo, nell’art. 11, ‘l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli’, la patria italiana in mezzo alle altre patrie, dico: ma questo è Mazzini; o quando io leggo, nell’art. 8, ‘tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge’, ma questo è Cavour; quando io leggo, nell’art. 5, ‘la Repubblica una e indivisibile riconosce e promuove le autonomie locali’, ma questo è Cattaneo; o quando, nell’art. 52, io leggo, a proposito delle forze armate, ‘l’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica’, esercito di popolo, ma questo è Garibaldi; e quando leggo, all’art. 27, ‘non è ammessa la pena di morte’, ma questo, o studenti milanesi, è Beccaria. Grandi voci lontane, grandi nomi lontani. Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti. Quanto sangue e quanto dolore per arrivare a questa Costituzione! Dietro a ogni articolo di questa costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta. Quindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no, non è una carta morta, questo è un testamento, un testamento di centomila morti”.

Un testamento che da 78 anni anni fa da guida alla nostra Repubblica. Una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

Non a caso diceva Umberto Terracini, presidente dell’Assemblea costituente, dopo la promulgazione della Costituzione: “Il lettore della nuova Costituzione vede ricorrere in essa molte volte la parola ‘lavoro’, completamente ignorata dallo Statuto Albertino del 1848. Sta di fatto che, dopo decenni e decenni di lotte tenaci, pur attraverso la parentesi obbrobriosa del fascismo, i diritti del lavoro hanno avuto finalmente il loro riconoscimento decisivo, diventando materia costituzionale e cioè parte integrante della legge fondamentale della Repubblica”.

“Non dimentichiamo, onorevoli colleghi – ribadiva alla Camera dei deputati il 23 aprile 1970 il futuro presidente della Repubblica Sandro Pertini – che su 5.619 processi svoltisi davanti al tribunale speciale 4.644 furono celebrati contro operai e contadini. E la classe operaia partecipa agli scioperi sotto il fascismo e poi durante l’occupazione nazista, scioperi politici, non per rivendicazioni salariali, ma per combattere la dittatura e lo straniero e centinaia di questi scioperanti saranno, poi, inviati nei campi di sterminio in Germania ove molti di essi troveranno una morte atroce. Saranno i contadini del Piemonte, di Romagna e dell’Emilia a battersi e ad assistere le formazioni partigiane. Senza quest’assistenza offerta generosamente dai contadini, la guerra di Liberazione sarebbe stata molto più dura. La più nobile espressione di questa lotta e di questa generosità della classe contadina è la famiglia Cervi. E saranno sempre i figli del popolo a dar vita alle gloriose formazioni partigiane. Onorevoli colleghi, senza questa tenace lotta della classe lavoratrice – lotta che inizia dagli anni ’20 e termina il 25 aprile 1945 – non sarebbe stata possibile la Resistenza, senza la Resistenza la nostra patria sarebbe stata maggiormente umiliata dai vincitori e non avremmo avuto la Carta costituzionale e la Repubblica. Protagonista è la classe lavoratrice che con la sua generosa partecipazione dà un contenuto popolare alla guerra di Liberazione. Ed essa diviene, così, non per concessione altrui, ma per sua virtù soggetto della storia del nostro paese. Questo posto se l’è duramente conquistato e non intende esserne spodestata”.