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In questo speciale abbiamo provato a ragionare sull'anniversario dei 150 anni d'Italia, e a celebrarlo senza retorica, lasciando spazio e parole soprattutto agli storici.
Guido Melis, in un'intervista dai due volti (storiografica, ma dall'evidente taglio politico) ha ricostruito con noi il percorso di formazione dello Stato unitario italiano. La gestione della macchina statale da parte delle burocrazie entro una continuità d'apparato mai scalfita – come è noto – dalle discontinuità politiche ("Paradossalmente il fascismo ha gestito lo Stato con personale di estrazione liberale, mentre la Repubblica ha gestito lo Stato con personale fascista"). La debolezza dell'ipotesi federalista di Cattaneo, nel momento in cui l'Italia si fece. La pericolosità, invece, del federalismo di conio leghista, che, osserva Melis, nasconde un "processo disinvolto che smantella lo Stato tradizionale".
Dello stesso Melis riproponiamo in video la prima parte di una lezione sulla costruzione dello Stato unitario, tenuta lo scorso autunno al Piccolo teatro di Milano.
Alessio Gagliardi analizza lucidamente l'uso pubblico che la nostra classe politica, coi suoi diversi e opposti schieramenti, ha fatto del Risorgimento e dell'anniversario che ricorre quest'anno, sottolineando il capovolgimento di valori avvenuto, dove l'antipatriottismo e le pulsioni disgregative della destra si confrontano col recupero, a sinistra, della bandiera risorgimentale e dei principi dell'unità nazionale. Dopo un notevole excursus sulle più recenti letture storiografiche del Risorgimento, Gagliardi ci ricorda che i pilastri dell'unità nazionale sono oggi seriamente in crisi e sotto attacco: lo Stato unitario per effetto dello pseudo-federalismo leghista; il mercato locale per effetto della globalizzazione; la scuola pubblica.
Quella scuola pubblica che ebbe un ruolo determinante nell'unificazione culturale del nostro paese, e che Susanna Camusso, in un'intervista a Rassegna Sindacale, difende appassionatamente, insieme al ruolo svolto dal movimento operaio e dal mondo del lavoro nella storia d'Italia.
Una domanda s'aggira per queste celebrazioni: era possibile un altro Risorgimento? Era possibile un'altra Italia? Giancarlo De Cataldo ci risponde di sì. Magistrato e scrittore, sceneggiatore del film di Mario Martone, Noi credevamo, e autore del libro I traditori (Einaudi) ambientato anch’esso nel periodo risorgimentale, De Cataldo osserva con amarezza che "i risorgimenti possibili erano vari, e alla fine prevalse quello militaristico e autoritario dei piemontesi". E aggiunge: "In quel contesto operavano i democratici, i repubblicani, i primi socialisti e un’Italia unita che avesse tenuto conto dei princìpi da essi professati sarebbe stata un’Italia migliore, più democratica".
Giuliano Amato la pensa diversamente. Già intervistato qualche tempo fa dal Mese di Rassegna, in questo video il presidente del Comitato dei Garanti delle celebrazioni osserva che "Cavour e le altre élites non tradirono la possibilità di un'altra Italia", ma "fecero l'unica Italia possibile".
È una domanda, questa sull'eventualità di un altro Risorgimento e di un'altra Italia, che nasce meno da un interrogarsi storico su quegli anni lontani, e più dalla profonda insoddisfazione e delusione che questi anni e questa Italia presente suscitano in molti di noi. Un paese talmente rovinato e decadente da ispirare un quesito inevitabile ed emotivo: poteva esser costruito meglio, al momento della sua fondazione? Non è del resto un caso che questa domanda, anche angosciosa, ce la si ponga noi italiani, mentre altri popoli hanno un rapporto più pacificato con le proprie origini e il loro mito.
Ma quali che siano le risposte, tutte acute e legittime, sarebbe un errore porre la questione come un rimprovero ai "padri della patria", caricando sulle loro spalle ottocentesche ansie e disillusioni del nostro millennio. Perché, come osserva lo storico Alberto Mario Banti, citato da Gagliardi, il "Risorgimento è un paese lontano". Tra quella Italia e la nostra non c'è più nulla in comune. Troppe "rifondazioni" sono avvenute (l'Italia fascista, e poi l'Italia repubblicana) per poter trovare una causa eclatante di ciò che siamo divenuti in ciò che accadde prima e immediatamente dopo il 1861.
"Sarebbe sbagliato enfatizzare la compattezza e l'omogeneità del lungo periodo storico 1861-2011, schiacciandolo tra il remoto inizio e l'immediata attualità", ci ricorda ancora Gagliardi. L'Italia è andata come è andata, insomma. E recuperare il Risorgimento senza capirne la distanza da noi è operazione politica che non aiuterà a costruire un'altra Italia.
Se vogliamo una "patria" diversa, dunque, la dobbiamo costruire trovando soluzioni a problemi presenti. Ad esempio il problema dell'integrazione e della nostra radicale trasformazione demografica, che non ha alcun nesso col nostro passato, remoto o recente.
Ecco un buon modo di festeggiare questi 150 anni: lasciare in pace Cavour e Mazzini, e dare il diritto di voto agli immigrati, così che i loro figli festeggino da italiani il Bicentenario.