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L'articolo che segue apre il nuovo numero di Idea Diffusa, il mensile a cura dell'Ufficio lavoro 4.0 della Cgil realizzato in collaborazione con Collettiva. Questo mese l'approfondimento riguarda lo smart working e il covid Ne parliamo, come sempre, con il contributo di esperti, sindacalisti e lavoratori. Clicca qui per leggere tutti gli articoli.
Di smart working si continua a parlare diffusamente da diversi punti di vista e in diversi sedi. Si moltiplicano le ricerche, le indagini e le webinar a tema. La ministra del Lavoro Nunzia Catalfo ha aperto una fase di ascolto di tutte le parti sociali, in cui le organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori si sono espresse all'unisono chiedendo di dare ruolo alla contrattazione collettiva.
Non si tratta di una richiesta scontata o collocabile nel solco della tradizione rivendicativa del sindacato: si tratta di una urgente necessità. Se prima dell'esplosione dell’emergenza pandemica lo smart working nasceva come risposta a un bisogno individuale o alla somma di bisogni individuali di lavoratori alla ricerca di nuove opportunità di conciliazione, nell’attesa e auspicata fase di ripartenza sarà l'impresa a porlo al centro di un modello nuovo di organizzazione di lavoro esteso e, giocoforza, collettivo.
Da qui, l'importanza di contrattare, per evitare che il cambiamento venga gestito unilateralmente dai datori di lavoro, nel rapporto, fortemente sbilanciato a proprio favore, con i singoli addetti. Quindi, non siamo più nella sfera dell’acquisizione di un diritto, ma nella sfera di un nuovo modello organizzativo entro cui ritagliare tutele per i lavoratori coinvolti.
Questi nuovi diritti debbono rivolgersi all’individuo come alla collettività, intesa certo come bacino di lavoratori potenzialmente coinvolti dalla remotizzazione della attività, ma anche come sito e comunità. Partendo dal singolo, o dai singoli, è importante garantire strumenti affinché il diritto alla disconnessione divenga esigibile. In tal senso, l’organizzazione del lavoro dovrà essere concepita in modo che l’armonizzazione tra vita e lavoro sia vissuta anche dall’azienda come strategica per il miglioramento dei propri standard di produttività.
Come Cgil, abbiamo sempre sostenuto che il lavoro agile non debba rappresentare l’unica modalità possibile di espletamento di una mansione. Ne siamo fermamente convinti, ma dobbiamo porci la domanda del perché una fetta non residuale dei lavoratori non desideri riapprocciare la dimensione dell’ufficio. Dobbiamo rifuggire da una visione eccessivamente disneyana del luogo di lavoro che, nel nostro Paese, spesso è una realtà carica di tensioni, emozioni negative e non particolarmente accogliente dal punto di vista logistico.
Accanto al tempo di lavoro, dunque, dobbiamo porci l’obiettivo di negoziare lo spazio o gli spazi, oltre che chiedere un investimento massivo in formazione, non solo per chi lavorerà in parte lontano dalla sua scrivania, ma anche per chi rimarrà, magari occupando proprio quella stessa scrivania che il collega ha lasciato vuota. Esiste un tema che resta sempre sullo sfondo delle nostre riflessioni, non riuscendo mai a uscire dallo stretto ambito della convegnistica: quello della partecipazione.
La gestazione di questo cambio di modello avrebbe bisogno di relazioni industriali fortemente partecipative, che permettessero un reale coinvolgimento dei lavoratori e lo sviluppo di una nuova cultura relazionale che possa ovviare con un rinnovato spirito di team alla mancata presenza. E’ necessario, comunque, fin da subito, sposare un approccio olistico, che consenta di tenere assieme tutte le possibili variabili partendo dal presupposto, come si accennava, che i lavoratori impattati non sono solo quelli direttamente interessati dalla remotizzazione, ma anche quelli indiretti del sito o del polo.
Minor presenza in azienda, comporta mutate esigenze per ciò che attiene le pulizie dei locali o la fruizione del pasto: abbiamo già registrato casi di appalti cessati o di bar e ristoranti che hanno chiuso i battenti. Dobbiamo essere in grado di dare gambe al nostro progetto di ‘contrattazione inclusiva’ fin dall’inizio, includendo tutti gli attori coinvolti anche in maniera subordinata dal processo negoziale.
Lo smart working, poi, impatta la dimensione più vasta del territorio e può rappresentare un'opportunità d’apertura di una nuova fase di contrattazione sociale. Bisogna dare risposte alla crisi dei piccoli esercizi commerciali e della ristorazione; occorre riflettere sul recupero di nuovi spazi di condivisione del lavoro, per evitare il rischio di un’eccessiva domiciliarizzazione delle attività, coniugando l’idea di un più evoluto ‘lavorare assieme’, con obbiettivi quali la mobilità sostenibile e il rispetto dell’ambiente. Il lavoro agile ridisegna la geografia del lavoro, ma anche quella delle sue implicazioni spazio-temporali e sociali: rischi e possibilità vanno governate con una visione prospettica lunga, che un’azione contrattuale coordinata e costante può nel tempo costruire.
Cristian Sesena è responsabile dell'Area della contrattazione e del mercato del lavoro della Cgil nazionale