PHOTO
L'articolo che segue è tratto dal n.4/2020 di Idea Diffusa, il mensile a cura dell'Ufficio lavoro 4.0 della Cgil realizzato in collaborazione con Collettiva. Clicca qui per leggere tutti gli articoli di questo numero dedicato alle smart cities.
Fin dai primi giorni del lockdown, è emerso con chiarezza come le politiche legate al welfare e alla cura abbiano strutturato un’idea di sanità, di qualità della vita e di welfare rigidamente vincolata a politiche di settore, con forti differenze di tipo territoriale. La rapida diffusione del Covid-19 ha mostrato con forte evidenza i limiti dell’ospedalizzazione, come unica soluzione per la gestione del paziente positivo ai test. Osservando i dati sull’ospedalizzazione delle prime due settimane dal varo del decreto Cura, infatti, si notano correlazioni e differenze territoriali significative fra numero di contagiati e numero di ricoveri: in Veneto viene ricoverato il 26% dei casi infetti, in Emilia-Romagna il 47 e in Lombardia il 75.
Con quali modalità, attraverso quali prospettive, quindi, studiare (e gestire) i fattori territoriali, che in alcune regioni, e non in altre, hanno permesso la cooperazione fra strutture sanitarie di base e un modello di monitoraggio che ha evitato la centralizzazione della cura nelle strutture ospedaliere? Quali gli interventi prioritari, in tempi di crisi dell’ipersanità, per favorire l’infrastrutturazione inclusiva delle politiche di cura e del benessere, specie dei gruppi a maggiore rischio sociale?
Appena poco prima della promulgazione del decreto Cura del 4 marzo 2020, come Senior scientist della Fondazione Di Vittorio, chi scrive è stata incaricata di dirigere il Laboratorio per la selezione e contrattazione delle tecnologie sociali. La delibera della Regione Toscana Dgrt 1614 (del 23 dicembre 2019), che fa da sfondo al Laboratorio, prevede un progetto sperimentale, da strutturare come ricerca-azione, in tema dell’assistenza a domicilio di gruppi a rischio, come gli anziani, che contempli l’utilizzo di tecnologie innovative finalizzate alle attività di diagnosi e cura a domicilio e il monitoraggio delle condizioni di salute e l’assistenza da remoto.
Il progetto, cofinanziato da Spi Cgil nazionale e Spi Toscana, considera e s'ispira alle sperimentazioni e buone prassi attivate in Europa sul tema; dà conto dell’impatto sull’organizzazione e sui modelli di erogazione dei servizi; evidenzia costi e benefici delle soluzioni proposte; favorisce le soluzioni che incentivano l’integrazione fra professionisti e discipline diverse. La ricerca applicata promossa dal Laboratorio si avvarrà della strumentazione della Computer-mediated communication (Cmc), che può produrre una nuova spazialità sociale e, in determinati casi, può rafforzare i legami infracomunitari e territoriali, creando, nell’infosfera, laboratori creativi di forme di rappresentanza e cittadinanza attiva.
Dopo la fase 2 per l’uscita dalla pandemia, la ricerca/azione in Cmc non costruirà solo delle modalità cooperative sue proprie, ma si costituirà essa stessa come aggregatore d'iniziative che permetta di facilitare, e costruire, un ambiente collaborativo indipendente e non profit, all'interno del quale il complesso dei dati, delle iniziative e dei servizi prodotti socialmente nel territorio siano organizzati, configurati e fruiti collettivamente. In sostanza, il Laboratorio non solo promuoverà un metodo di rappresentazione dell’innovazione sociale inclusiva, ma anche una nuova processualità di produzione collettiva della conoscenza territoriale per l’inclusione, l’empowerment e l’innovazione socio-territoriale.
I progetti volti al cambiamento delle relazioni sociali e al rafforzamento dei legami solidali nei territori sono quelli che fanno un uso generativo degli strumenti e, a livello più generale, degli effetti della rivoluzione digitale, densificati e ispessiti dall’emergenza Covid-19. Attraverso la rivoluzione digitale, infatti, sta emergendo un ambiente valoriale e cognitivo, in cui è di crescente importanza il senso del fare e del legarsi a progetti, il cui obiettivo non è solo il profitto, ma anche la produzione di conoscenze e significati da creare e apprezzare assieme. In sostanza, stanno prendendo forma nuovi legami sociali di condivisione delle risorse, delle conoscenze e dei problemi che le attuali sfide globali pongono.
Da tale prospettiva, la transizione post Coronavirus pone ai policy makers nuove sfide in termini di governance della cura, in risposta ai bisogni e alle domande sociali che produce la crisi nei territori. Ascolto, questo, che implica la necessità di riconoscere, supportare e contribuire a infrastrutturare le relazioni tra i diversi attori territoriali (cittadini, movimenti, associazioni) e le loro pratiche innovative locali, anche al fine di riconoscerle e contribuire al loro upscaling istituzionale.
Dunque, quale governance per l’innovazione e l'infrastrutturazione territoriale di relazioni sociali inclusive e solidali al fine di evitare l’ipersanitarizzazione delle relazioni di cura? Per rispondere a questa domanda, proprio in questi giorni, la Fondazione Di Vittorio ha avviato la costruzione di un disegno di analisi-socio territoriale in tema di infrastrutturazione dell’emergenza sanitaria in tempi di Covid-19. Il modello di ricerca permette la comparazione di tre regioni del Nord d’Italia, più omogenee di altre, in termini di trend di morbilità, di numero di morti, di condizioni socio-ambientali e socio-economiche: Lombardia, Emilia Romagna e Veneto. Dal punto di vista teorico, stiamo costruendo il concetto di ‘ipersanità’, anche sulla base degli spunti che ci offre Foucault e la sua biopolitica. Rinviando altrove la discussione degli esiti di questa nostra ricerca policy-evaluation oriented, in questa sede ci limitiamo a tratteggiare i perimetri di senso di una governance abilitante, l’infrastrutturazione inclusiva e solidale delle politiche territoriali di cura: coinvolge in un assieme gli attori in senso sia orizzontale che verticale nel ‘farsi’ politica pubblica; si riferisce al tema dell’accessibilità della cura in termini di capacitazione (empowerment), specie dei gruppi e delle stratificazioni sociali più a rischio, secondo il noto Capability Approach (Sen 1992); aspira a coinvolgere altri attori interni ed esterni (upscaling istituzionale).
Un approccio alle politiche locali da considerare nel ‘loro farsi’, specie in epoca di pandemie, ci sprona perciò a trasformare il "potenziale d'indignazione, il potere della catastrofe annunciata" (Beck 2016: 171) in politiche regionali efficaci per coniugare inclusione sociale, qualità della vita e coesione socio-territoriale.
Elena Battaglini, dottore di ricerca in Sociologia dell’ambiente e del territorio