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resilienza /re·si·lièn·za/
sostantivo femminile
1. Capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi.
2. In psicologia, la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà.
3. In ecologia, la velocità con cui una comunità biotica è in grado di ripristinare la sua stabilità se sottoposta a perturbazioni.
(definizione da Oxford Languages)
Il 22 aprile 2015, approfittando anche del dibattito e dell’attenzione dedicata alla vicina ricorrenza del 28 aprile, giornata mondiale della salute e sicurezza sul lavoro, la comunità (in ogni grande organizzazione lo sviluppo di gruppi di persone interessate o coinvolte nell’impegno su un tema complesso è naturale e diventa quasi un ecosistema composto da individui, relazioni e pratiche) a volte un po’ temeraria (visti i tempi) delle compagne e dei compagni attenti all’occupational safety e che si spendono quotidianamente per la tutela individuale e collettiva della salute e dell’incolumità di lavoratrici e lavoratori, provava a darsi uno spazio aperto (ma non troppo, dopo si dirà di più) di discussione in un luogo apparentemente alieno e pericoloso, irto di possibili insidie o semplicemente inadatto e inefficace.
Il gruppo Facebook “Salute e Sicurezza Cgil - Coordinamento Nazionale” tentava addirittura un’operazione più ardita: costruire uno spazio di discussione attraverso un media controverso, pervasivo, a volte autoreferenziale e vissuto come “ipermoderno” (la realtà purtroppo si incaricava già allora di denunciarne l’obsolescenza programmata nell’incalzare della sbandierata “rivoluzione” tecnologica e informatica), con un nome che rimandava a temi quasi novecenteschi e, per di più, a una struttura sindacale esistente da tempi ormai definibili come storici.
Ma quella che qualcuno avrebbe definito - qualche anno fa - una “provocazione culturale”, rivelò una sua potenzialità inaspettata: lentamente, faticosamente, contraddittoriamente e a volte con una sua conflittualità interna, il meccanismo cominciò a funzionare. Tralasciando aspetti che in questo spazio non è possibile approfondire, diciamo solo che il gruppo sceglieva fin dai primi momenti di essere aperto, ma non di rinunciare a mettere un limite: il prerequisito dell’iscrizione (quindi di metterci un pizzico in più di intenzionalità e di senso di appartenenza, se non di militanza), affinché la comunità fosse formata non solo in forma passiva ma che implicasse (pur nel regno dell’individualità anonima, che può a volte essere intenzione costruire da quel media stesso e dalla società che lo esprime) la possibile nascita di legami in “altro” modo o con “altri mezzi “. Quei legami sociali e interpersonali che sono il fondamento delle azioni, delle pratiche, delle lotte, delle nostre vittorie o sconfitte di ogni giorno. Che sono la vita della Cgil.
Oggi il gruppo conta più di 6 mila iscritti (tralasciamo i dati statistici di crescita o relativi alle interazioni), e quel che è diventato, o la sua potenzialità, ha generato anche tentativi di esperimenti ancora più azzardati.
L’esplorazione delle communities su base web provava ad andare avanti due anni fa attraverso la presentazione di un progetto di ricerca finanziato da Inail (anche questo una pesante eredità del passato e un’istituzione novecentesca), mirato alla realizzazione di una piattaforma informatica partecipativa per lo scambio di conoscenze e per l’empowerment del ruolo dei Rls e Rlst dei tre sindacati confederali italiani. Il progetto è stato appunto approvato e finanziato, e la costruzione di quello spazio, con le sue regole e con l’uso più ampio delle potenzialità comunicative e tecniche, è avanzata e procede da due anni.
Ma ovviamente il cammino della nostra comunità della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro non si è fermato in questi tempi difficili della pandemia, e neanche la sua esplorazione in questo contesto di territori nuovi creati dalla trasformazione (non arriverei a definirla rivoluzione) comunicativa e tecnologica.
Nel mese di aprile, confrontandoci nelle nostre stanze solitarie (ma non isolate e solo a causa di forza maggiore) di “smartworkers” resilienti, con i compagni e le compagne delle Fondazione Di Vittorio, del coordinamento nazionale Formazione e con la segreteria nazionale, capimmo che il momento emergenziale nel quale purtroppo tutte e tutti vivevamo poteva essere un’occasione ancor più necessaria di condivisione, sostegno, legami.
La scelta dell’impiego sempre crescente delle tecnologie informatiche (determinandone un uso adatto ai nostri contesti) era presa da tempo, i tempi erano maturi e pressanti. Andava coniugata l’esigenza di diffondere informazioni utili e corrette, di facilitare solidarietà necessarie, di costruire azioni conseguenti rispetto alle scelte della nostra organizzazione in un contesto durissimo e drammatico. E così raggiungemmo quello che potremmo chiamare il terzo stadio della nostra trasformazione comunicativa: il mondo del “webinar”, in pratica un ibrido fra formazione, seminario, assemblea, organizzato dalle strutture regionali, nazionali di categoria, di Camera del lavoro e categoria a tutti i livelli.
Sarebbe difficile effettuare una valutazione di questa iniziativa (ancora in corso fino a luglio) che ha visto più o meno una sessantina di appuntamenti e (fino ad ora) più di 2 mila compagne e compagni (Rls, Rsu, funzionari, dirigenti) coinvolti, su tutto il territorio nazionale. Basti dire che questa scala dimensionale rende evidente che la nostra comunità si è rafforzata e allargata, che avrà bisogno di crescere in competenza ed elaborazione, ma che la strada è abbondantemente tracciata.
Nel contesto dei webinar hanno preso voce e consistenza istanze (non esclusivamente relative all’episodio pandemico) delle quali prender nota, e che sarà necessario organizzare (è il nostro lavoro!) e condurre a finalità proprie; insomma, il lavoro della comunità continua e continuerà. Ma quel che vorrei restasse da questa breve analisi è che in un contesto difficile, con spinte all’isolamento, alla rottura dei legami sociali e solidali, esistono mezzi e pratiche per resistere e invertire il segno dei tempi. Vorrei esserci riuscito.
Sebastiano Calleri è responsabile Salute e sicurezza sul lavoro della Cgil nazionale