Gli studi ci dicono che l’intelligenza artificiale produrrà effetti su almeno il 60% della forza lavoro, oltre l’80% nelle aree a maggiore professionalizzazione. Difficile immaginare perimetri di attività lavorativa che, in questi anni, non siano stati toccati dalla digitalizzazione.

Il Covid, e i provvedimenti conseguenti a tutela della salute, ci hanno dimostrato quanto l’uso di strumenti di lavoro digitali abbia consentito a una buona parte delle lavoratrici e lavoratori di proseguire la propria attività nonostante il distanziamento e la chiusura dei luoghi di lavoro.

Il quadro che abbiamo davanti è quello di un processo irreversibile in cui strumenti digitali sempre più performanti, “invasivi”, indispensabili modificheranno il modo di lavorare, oltre a quello di vivere.

Questa trasformazione, tra le altre cose, sta producendo effetti rilevanti sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, a partire dal concetto stesso di luogo materiale o immateriale in cui la prestazione si effettua. È necessario quindi analizzare il fenomeno con le sue diverse traiettorie, i suoi effetti positivi e gli elementi di rischio.

L’esigenza è quella di riuscire a indirizzare il mondo del lavoro a un uso corretto e conforme dell’intelligenza artificiale, costruire un modello antropocentrico che guardi, oltre che allo sviluppo economico e produttivo, ai bisogni sociali e al benessere fisico e psichico delle persone.

Primi effetti

Il segnale che ci arriva dal mondo del lavoro è che iniziano a manifestarsi malattie professionali legate al nuovo “modello produttivo 5.0”.

In particolare, malattie professionali di carattere psicologico frutto dello stress da lavoro generato da:

  • la difficoltà a praticare una vera disconnessione dagli strumenti digitali;
  • l’uso di tecnologie complesse e invasive;
  • il controllo continuo a cui si è sottoposti;
  • la valutazione continua di performance.

Non è difficile correlare l’insieme di questi elementi da stress, più le restrizioni imposte dalla pandemia, con il fenomeno delle dimissioni “volontarie” negli ultimi anni. Condizione che spesso ha riguardato le donne che, durante la fase pandemica, hanno vissuto la sommatoria del lavoro da remoto “senza limiti” e il carico del lavoro di cura; la “costrizione abitativa” e l’invadenza tecnologico/lavorativa spesso in solitudine.

Possiamo aggiungere che, a tre anni dall’esplosione del lavoro remotizzato, nonostante il tema riguardi milioni di persone che non si recano quasi più o raramente in “azienda”, non si sono determinati coerenti modelli organizzativi e, nello specifico, raramente si è attuata una valutazione dei rischi che rispondesse a una trasformazione profonda nel modo di lavorare.

C’è una difficoltà oggettiva nei modelli di relazioni e contrattuali a rispondere alla frammentazione e trasformazione dei processi produttivi, ma bisognerebbe ricordare che, nel caso, stiamo dicendo che va applicato quanto prescritto nel d.lgs. 81/2008, all’art. 28, valutazione e gestione dei rischi, nulla di nuovo.

Parte della scarsa percezione delle nuove malattie professionali dipende dal fatto che le statistiche arrivano in ritardo rispetto al fenomeno, oltre alla difficoltà oggettiva nel nuovo contesto (il lavoro remotizzato, esternalizzato e appaltato) di utilizzare i classici metodi sindacali di intervento e analisi.

Come rispondere

Quello che è certo è che ci sono due bisogni:

  • Costruire una regolamentazione di tutele individuali e collettive adeguate e dinamiche. Alcune idee le abbiamo e le metteremo in campo con le diverse proposte di legge in fase di definizione in Cgil, a partire dall’idea di costituire un Rappresentante dei lavoratori che in sinergia con il Rls si occupi del trattamento dei dati e dell’introduzione di strumenti digitali.
  • L’azione sindacale nei luoghi di lavoro e la contrattazione collettiva (la vera risposta dinamica dell’assetto regolatorio).

Lo abbiamo già detto più volte, sono necessarie le regole, una normativa europea e nazionale, ma anche l’identificazione di prassi e strumenti idonei ed efficaci, a partire dal rafforzamento di tutte le autorità e degli enti di controllo e verifica dell’attuazione delle norme e della regolarità del lavoro.

Ripeteremo fino allo stremo che senza il rafforzamento e il pieno “funzionamento” di: il Garante per la protezione dei dati personali, l’Agcom, l’Agcm, la Consob, l’Ispettorato del lavoro, l’Inail, l’Asl, l’Inps nelle loro funzioni regolatorie e ispettive, l’illecito rimarrà pratica diffusa visto il bassissimo rischio per i datori di lavoro di essere scoperti e sanzionati.

In quest’ottica non ci convince affatto l’idea individuata nel disegno di legge del governo sull’intelligenza artificiale di indicare come autorità nazionale sulla materia l’Agenzia nazionale per la cybersicurezza e l’Agenzia per l’Italia digitale, organismi sotto il controllo della presidenza del Consiglio e privi delle caratteristiche funzionali e delle competenze necessarie a rispondere a quanto stabilito nel Regolamento europeo: Ai Act.

Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro

Dato il quadro regolatorio e il contesto disfunzionale, senza una chiara sinergia tra parti sociali e autorità si rischia, in futuro, di affogare in un diffuso contenzioso legale e vertenziale. L’iniziativa sindacale nei luoghi di lavoro è quindi fondamentale, non esistono settori che non adotteranno sistemi digitali, algoritmici o di intelligenza artificiale (più o meno performante) per gestire fasi di produzione o l’organizzazione del lavoro. A questo si somma, come abbiamo anticipato, il lavoro in “smart working” per milioni di lavoratori e altri milioni, “spesso autonomi”, che lavoreranno attraverso piattaforme digitali.

Per questo in tutte le aziende è necessario:

  • un lavoro profondo nella ridefinizione dei Dvr, con una analisi dei rischi che tenga conto dell’implementazione tecnologica e l’uso di strumenti digitali o di I.A..
  • procedere alla richiesta dell’informativa/consultazione per l’introduzione di nuovi strumenti di lavoro, anche d’intelligenza artificiale, oltre a quanto predisposto per la definizione di accordi (art. 4 della legge 300 del 1970) quando questi strumenti producono un controllo a distanza dell’attività lavorativa.

La complessità della trasformazione in corso ci dice che è indispensabile, a partire dai temi tracciati sinteticamente in questo numero, identificare processi formativi per il gruppo dirigente dell’organizzazione (quadri e delegati sindacali nei luoghi di lavoro), perché solo attraverso la conoscenza del fenomeno trasformativo, degli effetti sulla salute (fisica e mentale) e sulla sicurezza e la rapida evoluzione del quadro normativo, si può intervenire efficacemente e costruire un pezzo di contrattazione essenziale per migliorare le condizione di lavoro e per la salute e sicurezza 5.0.

Alessio De Luca, Responsabile ufficio progetto lavoro 4.0 Cgil nazionale