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Non ha un tema principale, diversamente dalla consuetudine, il n. 1/2021 della Rivista Giuridica del Lavoro. Nella sua prima uscita dell’anno, il trimestrale diretto da Umberto Carabelli raccoglie in apertura una serie di contributi sui temi più disparati: dai riflessi sul diritto interno della Convenzione Oil relativa alla violenza e alle molestie sui luoghi di lavoro allo smart working emergenziale, all’obbligo di ripescaggio nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Una segnalazione particolare merita il saggio dedicato al lavoro dei migranti in epoca di pandemia: “L’emergenza Coronavirus – scrivono William Chiaromonte e Madia D’Onghia, rispettivamente ricercatore di Diritto del lavoro presso l’Università di Firenze e professoressa ordinaria di Diritto del lavoro presso l’Università di Foggia – ha colpito tutti, ma ancor di più gli emarginati, i deboli, gli ultimi, i precari e, fra questi, i migranti irregolari. Uomini e donne stranieri, già prima dell’emergenza in una condizione di particolare vulnerabilità, si sono ritrovati drammaticamente privi di ogni forma di tutela, specie ove si consideri la loro presenza in insediamenti informali rurali, dove è praticamente impossibile garantire il tanto invocato distanziamento sociale”.
Gli “invisibili” e la pandemia
Non si riscontra alcuna traccia di stranieri cosiddetti “invisibili” nei numerosi provvedimenti adottati in questi mesi per fronteggiare la pandemia; mentre disposizioni incoerenti e, in taluni casi, contraddittorie sono state emanate per quelli in possesso di un permesso di soggiorno prossimo alla scadenza o in attesa di rinnovo. Un vulnus grave alla visione solidaristica della nostra carta costituzionale – non il primo e, temiamo, nemmeno l’ultimo – che dovrebbe suggerire una volta per tutte, al momento di promuovere interventi legislativi sulla delicata materia, di “smettere di considerare gli immigrati, specie se irregolari, come una massa indistinta – precisano Chiaromonte e D’Onghia –, trascurando il fatto che si tratta di decidere di aspetti essenziali della vita di tanti singoli individui e contribuire alla loro integrazione”.
La prima parte della rivista ospita più avanti anche un articolo sul ruolo delle organizzazioni sindacali in Italia nell’affrontare l’epidemia da contagio di Covid 19, in particolare nella cosiddetta fase 1. “Le organizzazioni sindacali – commentano a tal riguardo Beppe De Sario, Daniele Di Nunzio e Salvo Leonardi, ricercatori presso la Fondazione Di Vittorio – si sono trovate ad affrontare un rischio nuovo per la salute, anche per la scala e la pericolosità del contagio, in un contesto in cui i luoghi di lavoro e i processi produttivi sono stati sottoposti a una radicale e veloce trasformazione, con la definizione delle attività essenziali, il diffondersi di zone rosse, la chiusura di alcune produzioni di beni e servizi, l’introduzione di forme di lavoro da casa e di pratiche di distanziamento fisico nei contesti di lavoro”.
Gli interventi messi in atto
Numerosi gli interventi messi in campo e finalizzati alla tutela dei lavoratori, sul versante delle mobilitazioni, del coinvolgimento partecipativo, della contrattazione: “È tuttavia a livello settoriale, attraverso la relazione tra parti datoriali e organizzazioni sindacali di categoria, che le linee guida dei protocolli nazionali hanno trovato una più incisiva capacità di orientamento della prevenzione nei luoghi di lavoro – proseguono nella loro analisi De Sario, Di Nunzio e Leonardi –. Pressoché tutti i settori e comparti produttivi hanno stipulato intese di recepimento e integrazione del Protocollo del 14 marzo: banche, assicurazioni, chimico, farmaceutico, energia, gas, vetro, concia, moda, costruzioni, manifattura, industria alimentare, lapidei, commercio al dettaglio, trasporti e altri ancora”.
La seconda parte del n. 1 di RGL si apre con una rassegna di giurisprudenza sui temi della disdetta del contratto collettivo e degli “spostamenti” dei datori da un settore contrattuale a un altro. A seguire, i commenti ad alcune decisioni della Corte di Giustizia Ue (in tema di “temporaneità” della somministrazione di lavoro e sui criteri di individuazione del datore di lavoro), della Corte Costituzionale (tutela cautelare d'urgenza e impugnazione del licenziamento), della Corte di Cassazione (composizione della retribuzione feriale, rinunzie e transazioni del lavoratore in sedi “protette” e vizi di nullità, distacco del lavoratore, interesse solidaristico tra imprese e crisi economica, presupposti applicativi del diritto europeo e italiano in materia di licenziamento collettivo nella giurisprudenza) e dei giudici di merito (lavoro agile emergenziale, modifica unilaterale dell’orario a tempo parziale e contratto di prossimità, condotta antisindacale e coinvolgimento sindacale al tempo della pandemia).
Nella sezione dedicata alla sicurezza sociale si commenta la decisione della Corte Costituzionale sulla pensione di invalidità civile tra “diritto al mantenimento” e vincoli di bilancio. Il caso di cui si parla è quello di una donna, invalida al lavoro al 100 per cento, che ha deciso di agire in giudizio contro l’Inps, lamentando la larga insufficienza della pensione di invalidità civile da lei percepita, ai sensi dell’articolo 12 della legge n. 118/1971, nel garantirle il soddisfacimento dei suoi bisogni primari. A giudizio della Consulta, si apprende dalla lettura di RGL n. 1/2021, l’articolo 12 della legge 118/1971 “si porrebbe in contrasto con molteplici parametri costituzionali”. A cominciare dall’articolo 38 della nostra carta costituzionale, “stante l’inidoneità del trattamento corrisposto a garantire il godimento delle minime esigenze vitali da parte del disabile”. Ma non solo. Sussiste anche, nella menzionata legge, “un contrasto con l’articolo 3, poiché la pensione di invalidità viene corrisposta per un importo inferiore all’assegno sociale, benché entrambe le provvidenze siano tra loro assimilabili”.
Osservatori online. Il trimestrale propone per questo numero l’osservatorio sulla contrattazione collettiva (a cura di Ginevra Galli e Stefano Cairoli).