Si impegnano le aziende Usl Toscana, Centro, Nord Ovest, Sud Est alla realizzazione di centrali di tracciamento in grado di garantire tale funzione per tutti i nuovi casi del giorno, e i loro contatti, e da completare entro il giorno stesso, utilizzando forme standardizzate di contatto, di intervista e di consegna documenti che permettano la sicurezza della tracciatura, come indicato nell’Allegato A, parte integrante e sostanziale del presente atto. Si impegnano altresì le aziende sopra indicate di esperire tutte le modalità utili per il reperimento del personale necessario, anche attraverso procedure di reclutamento straordinarie. In caso di necessità le aziende possono reperire spazi e logistica per queste attività anche al di fuori delle strutture di proprietà. Si impegnano tutte le aziende sanitarie, ospedaliere e territoriali, a costituire una centrale operativa di coordinamento delle attività sanitarie per ogni area vasta per disporre tutte le operazioni necessarie per assicurare l’utilizzo migliore delle risorse presenti su quel territorio in modo integrato, con particolare riferimento alla risorsa domicilio del paziente, alberghi sanitari, cure intermedie, posti letto ospedalieri, ordinari, subintensivi e di terapia intensiva. L’obiettivo è quello di ridurre, attraverso l’uso appropriato delle risorse territoriali, la pressione attesa sugli ospedali.

Finalmente un’ordinanza che parla chiaro e dà indicazioni alle aziende sanitarie su come prepararsi alla seconda ondata della pandemia. Peccato che la Giunta regionale toscana l’abbia varata solo lo scorso 24 ottobre. Quel giorno in regione si contavano 15.688 persone positive con un incremento rispetto alle 24 ore precedenti di 1.526 nuovi casi. Dallo scorso 15 novembre la Toscana è diventata zona rossa e i numeri dicono che i positivi sono diventati 52.308 con un incremento di 2.653 nelle ultime 24 ore. Se quell’ordinanza fosse stata emanata a giugno forse i numeri sarebbero diversi, gli ospedali non sarebbero così tanto sotto pressione e, soprattutto, il tracciamento si riuscirebbe a realizzare.

Afferma Filippo Schimmenti, operatore sanitario addetto all’igiene pubblica nell’Area vasta Toscana Centro: “Durante l'emergenza di marzo-aprile quasi tutto il personale, giustamente, è stato utilizzato per eseguire i tamponi e pochi sono rimasti a svolgere attività di tracciamento. I numeri lo permisero". “Da giugno molti operatori dovevano, secondo me, essere spostati e formati sul tracciamento dei contatti dei contagiati, che con la riapertura della scuola sono letteralmente esplosi”. Schimmenti è un tracciatore e racconta che ormai tutto è saltato, troppi i positivi quasi inesistenti i tracciatori. L’unica area vasta che a inizio pandemia un po’ ne aveva era proprio la sua perché nel passato aveva fronteggiato diversi casi di meningite. Ma ovviamente troppo pochi. Le altre due aree praticamente non ne avevano quasi. Nel luglio del 2019 si fece un concorso per assumere personale a tempo determinato, all’arrivo del coronavirus si è dato fondo a tutta la graduatoria, 45 persone, ora la Regione sta provvedendo a reclutare i 500 che hanno risposto al bando della Protezione Civile, meglio tardi che mai verrebbe da pensare.

In Toscana, come nel resto di Italia il dato che emerge con forza è la mancanza di personale di tutte le professioni sanitarie, dai medici agli infermieri, dagli operatori sanitari ai tecnici di laboratori, ne mancano talmente tanti che non si riesce a processare rapidamente i tamponi. Ed essendo pochi, quelli che sono in servizio sono costretti a turni eccessivi, saltano riposi e ferie, e si ammalano. Attualmente, ma ovviamente il dato è in continuo aggiornamento, tra il personale sanitario sono circa 650 quelli positivi al Covid 19. “Non ce la fanno più – ci dice il segretario generale della Fp Cgil regionale Bruno Pacini – e non riusciranno ancora per molto ad andare avanti saltando i turni di riposo”. “Il reclutamento del personale – aggiunge il dirigente sindacale - è la vera questione, occorre derogare alla normativa del 2001 così da andare alla chiamata diretta da parte delle aziende, in questo modo si supererebbe la necessità di ricorrere al lavoro in somministrazione e alle partite Iva”.

 

 


A cercar di capire cosa sia successo nei mesi che hanno portato al riesplodere della pandemia è Gessica Beneforti, componente la segreteria confederale della Cgil regionale: “Sono una serie di concause all’origine di quella che oggi è contemporaneamente un’emergenza e un quasi fallimento della situazione. In primavera c’è stata una gestione positiva nel merito e nel metodo e i risultati si sono visti. Poi, da un lato una sorta di irresponsabilità collettiva che ha determinato comportamenti sbagliati, dall’altro un forte ritardo da parte della Regione ad approntare i piani per prevenire e gestire la seconda ondata hanno portato alla situazione di emergenza di oggi”.

E la seconda ondata è cominciata a inizio ottobre, si è passati dai mille casi a settimana di allora ai 15mila dei primi di novembre, il sistema di tracciamento è saltato e l’organizzazione delle Usca ha scontato i ritardi generali. Il decreto dello scorso 9 marzo prevedeva che in dieci giorni ne venissero istituite una ogni 50 mila abitanti (vale ovviamente per tutto il Paese), le 150 toscane sono state completate solo in questi giorni. Ma sono comunque poche se si considera che ciascuna riesce a fare non più di dieci visite domiciliari al giorno, con oltre cinquantamila positivi il conto è presto fatto. E pochi sono anche i medici di medicina generale, in realtà anche in questa regione la sanità territoriale è quasi inesistente e metterla in piedi non è operazione che si riesce a realizzare in poche settimane.


In Toscana, come in realtà in molti altri territori, esiste un’emergenza nell’emergenza. Quella delle Rsa. “Durante la prima ondata, dice ancora Beneforti, si era riusciti a metterle abbastanza in sicurezza. Oggi non è più così, anzi. Quel che si deve registrare è il fallimento del privato sociale accreditato che gestisce queste strutture e per salvare la situazione ed occuparsi degli anziani ospitati è dovuto subentrare il pubblico”. I numeri sottolineano le parole della dirigente sindacale. I dati aggiornati al primo novembre affermano che su 12.494 ospiti di queste strutture 1.103 risultavano positivi e su 12.676 operatori ed operatrici i contagiati dal Covid erano 563. Ed è per far fronte a questa emergenza che la Cgil ha acconsentito alla creazione di Rsa Covid ma, sottolia la segretaria regionale, “è arrivato il momento che anche il privato faccia la propria parte”.

Insomma la situazione è davvero grave e, come dicevamo a pagare il prezzo più alto sono gli uomini e le donne del sistema sanitario regionale. Dice Simone Baldacci infermiere in un ospedale fiorentino in distacco sindacale, ma richiamato in servizio per carenza di personale: “Siamo pochi e costretti a iper lavoro, non viene più rispettata la direttiva europea sugli orari e facciamo turni davvero lunghi. Alcuni colleghi hanno avuto attacchi di panico per lo stress e le condizioni di lavoro difficilissime. Per l’intero turno non beviamo e non andiamo in bagno, non è possibile dopo aver indossato tute, mascherine e visiere. Siamo alla Caporetto, speriamo di trovare il Piave che ci aiuti a tornare su”.

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