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Il collasso, per fortuna non mortale, della sanità italiana non comincia con il Covid. La pandemia è – in ordine di tempo – l’ultimo terribile colpo che arriva dopo i 37 miliardi di tagli al Ssn e i dieci anni di blocco del turn over che ha decimato medici infermieri operatori socio sanitari e tutte le professioni sanitarie. Lo scorso 9 marzo, giorno d’inizio del lockdown, tutte le regioni registravano e lamentavano carenze di organico significative in ospedali, ambulatori, medicina generale. Mancavano all’appello in oltre 60 mila tra le fila del Ssn e più di 20 mila medici di medicina generale. E purtroppo non finisce qui. Non solo ci sono pochi medici e infermieri assunti, ma sono pochi anche quelli in cerca di lavoro. Il numero chiuso nelle facoltà universitarie e nelle scuole di specializzazione mediche ha avuto e continua ad avere come effetto la scarsità di professionisti formati e pronti per essere assunti. Mancano pediatri, ginecologi e guarda un po’ anestesisti rianimatori, quelli cioè che servono nelle terapie intensive. Secondo il sindacato degli anestesisti rianimatori ne servirebbero almeno 4000 per far fronte all’ordinaria amministrazione figuriamoci per la seconda ondata della pandemia. Ed infatti secondo una preziosa ricerca di Altems, l’Alta scuola di economia e management dei sistemi sanitari dell’Università Cattolica del Sacro Cuore certamente i posti di terapia intensiva, rispetto a marzo, sono aumentati passando da 5.179 a 6.628 al 22 di ottobre ma la quantità di anestesisti dedicata a ciascun malato è diminuita passando da 2,5 a 1,6. Questa, probabilmente, una delle ragioni che ha impedito alle regioni l’attivazione di ulteriori postazioni pur avendo in dotazione i respiratori. Va, inoltre, considerato che sia i medici che gli infermieri delle terapie intensive è personale altamente specializzato formatosi attraverso un lungo tirocinio sul campo.
Il governo ha provato a correre ai ripari, prima con il Decreto del 9 marzo e poi con quello Rilancio sono state previste procedure e risorse per assumere personale sanitario per far fronte all’emergenza. Complessivamente ne risultano reclutati, rigorosamente assunti con contratti precari, circa 30mila. Ancora la ricerca di Altems, attesta che ad oggi “Risultano chiusi più di 1300 bandi per il reclutamento del personale medico mentre altri 184 risultano ancora aperti. Da questi bandi, risultano 3513 unità di personale medico aggiuntivo già reclutato e 603 in fase di reclutamento. Inoltre 1274 medici risultano essere stati assunti da bandi con specifico riferimento all’emergenza Covid, mentre 2842 sono stati reclutati senza esplicito riferimento alla pandemia”. Pochi, davvero pochi, viste le storiche carenze di organico. Tant’è vero che proprio in queste ore la regione Lazio ha annuncia un bando per richiamare in servizio i medici pensionati, così come la Puglia. Probabilmente proprio la scarsità di operatori ha reso difficile la nascita delle Unità speciali di continuità assistenziali (Usca), quel gruppo di medici e infermieri che dovrebbero curare nelle proprie case i malati Covid non gravi. Il Decreto del 9 marzo ne prevede 1 ogni 50mila abitanti da istituirsi entro 10 giorni dalla pubblicazione del Decreto stesso. Dati certi non ce ne sono ma si stima che al massimo ne esistano la metà di quelle previste.
Se il sistema ha retto l’onda d’urto, durissima, della prima ondata della diffusione del coronavirus e sta reagendo alla seconda, è lo si deve alla professionalità e anche generosità, degli operatori e delle operatrici. Ma a pagare il conto di tutto questo, oltre al personale, sono gli uomini e le donne in deficit di salute per ragioni diverse dal coronavirus. Sempre secondo il Rapporto di Altems sembrerebbe che al 30 settembre solo 4 regioni abbiano deliberato per impiegare le risorse stanziate con il Decreto agosto per l’abbattimento delle liste d’attesa, Piemonte, Marche, Toscana e Veneto.
A marzo aprile maggio tutte le prestazioni non urgenti, e forse in parte quelle che urgenti lo erano, sono state sospese. Screening per la prevenzione oncologica o cardiaca, indagini strumentali, visite specialistiche, interventi chirurgici programmatici sospesi per due ragioni: medici e infermieri spostati nelle terapie intensive e sub intensive o nei reparti Covid svuotando quelli ordinari. E poi i nostri ospedali non hanno il doppio percorso, covid non covid e quindi per evitare il diffondersi dell’epidemia semplicemente sono stati chiusi ambulatori e studi medici. Sulla base del “Monitoraggio strategie di intervento per recupero liste d'attesa” effettuato dalla Direzione Generale della Programmazione sanitaria del ministero della Salute il 13/07/2020, la riduzione tra 2019 e 2020 è stimata in circa 13,3 milioni di prestazioni di accertamenti diagnostici e in circa 9,6 milioni di visite specialistiche, pari a circa il 36%. Avendo rilevato che, sulla base dei dati di Tessera Sanitaria relativi all’anno 2018, il 59% delle prestazioni di accertamenti diagnostici e l’86% delle visite specialistiche vengono erogate da strutture pubbliche, si è ipotizzato che il recupero delle prestazioni avvenga per le strutture pubbliche secondo le medesime proporzioni, prevedendo quindi 7,9 milioni di prestazioni di accertamenti diagnostici e 8,2 mln di visite mediche non effettuate a causa della pandemia. E la stessa indagine stima in 309.017 il numero di mancati ricoveri, di cui 230.428 chirurgici e 78.589 medici. Il Decreto agosto ha stanziato risorse per recuperare questi numeri, ma non molto è stato fatto.
Quanto tutto questo ha inciso e inciderà sulla salute degli italiani e delle italiane non è facile stimare, ma qualcosa si può immaginare. Secondo la Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia: “Tutto questo ha creato inevitabili conseguenze in oncologia: i medici dichiarano impatti in termini di diagnosi e biopsie dimezzate del 52%, ritardi negli interventi chirurgici per il 64%, visite pazienti/ settimana diminuite del 57% (Dati Sondaggio IQVIA). E il futuro – senza adeguate misure - si prospetta ancora più drammatico”. Se cambia la patologia la situazione non migliora. Secondo uno studio della Società italiana di cardiologia “I ricoveri per infarto acuto al miocardio durante la pandemia da Covid 19 si sono significativamente ridotti in tutta Italia, con un parallelo aumento della mortalità e dei tassi di complicanze. Questo rappresenta un grave problema sociale, che richiede attenzione da parte delle comunità scientifiche e sanitarie e delle agenzie di regolamentazione pubbliche”. Ancora Altems certifica che la riduzione di questi ricoveri è pari al 48,8% mentre vi è stato un calo di trapianti del 16,9%.
Ora siamo di nuovo in emergenza, i Reparti Covid degli ospedali cominciano ad essere pieni e in molte regioni si iniziano a sospendere ricoveri programmati e a chiudere di nuovo gli ambulatori. Succede già in Lombardia, Piemonte e Campania ma di ora in ora aumentano le serrate. I Pronto Soccorso dei nosocomi sono già presi d’assalto. Un vero e proprio grido d’allarme lo lancia all’Ansa il presidente della Società italiana di medicina di emergenza e urgenza Salvatore Manca: “La situazione nei Pronto soccorso (Ps) è drammatica, con fortissime criticità in tutte le Regioni. I Ps, in questi giorni, sono presi d'assalto da pazienti con sintomi da Covid-19 e ci sono file di ambulanze in attesa. I reparti Covid sono pieni ed i Ps stanno diventando un 'parcheggio' per questi pazienti anche per 3-5 giorni. Stiamo assistendo tutti ma mancano medici e infermieri. Non ce la facciamo più a reggere".
Che fare allora? Secondo Rossana Dettori, segretaria nazionale della Cgil sono tre le parole chiave da utilizzare per affrontare questa emergenza e per garantire a tutti e tutte il diritto alla salute. Assunzioni, risorse, dialogo e confronto. Ma occorre fare una premesse, ci dice la segretaria di corso d’Italia, “occorre evitare il panico e l’unica strada è dare risposte veloce ai diversi bisogni di cittadini e cittadine, a chi ha il sospetto di essere stato contagiato, a chi è positivo, ma anche a quanti devono eseguire uno screenig oncologico o cardiaco ecc. Ripeto risposte veloci. E risposte veloci devono essere date anche al mondo del lavoro: occorre prolungare ammortizzatori sociali e blocco dei licenziamenti. Siamo ancora in attesa di una convocazione da parte del presidente del Consiglio”. Le scene davanti ai Pronto soccorso non sono accettabili, come non è accettabile la sospensione delle attività ambulatoriali e di diagnostica ordinaria. “Esiste una sola strada, assumere il più rapidamente possibile medici, infermieri operatori socio sanitari, tecnici e anche personale amministrativo. Vanno attivate tutte le Usca previste dai Decreti e vanno fatte funzionare. E soprattutto occorre immediatamente potenziare la sanità di territorio. Malati di qualunque patologia, anziani, disabili debbono essere presi in carico e seguiti il più possibile a casa. È necessario e prioritario implementare e di molto l’assistenza domiciliare”. Certo per dispiegare tutto questo, per assumere personale, sono indispensabili molti soldi ed ancora Dettori sostiene che occorre “Investire risorse, risorse, e ancora risorse in sanità. Bisogna farlo perché non sarebbe inaccettabile tornare a quel che è accaduto a marzo con la sospensione di tutti i servizi non Covid, ancora non si è riuscito a recuperare visite, esami e interventi chirurgici saltati per il lockdown”. E le risorse stanziate fin qui e quelle previste dalla bozza di legge di bilancio non sono sufficienti: “Occorre attivare il Mes”.
Qualche suggerimento su come fare per ottimizzare il lavoro la Cgil ce l’ha, il tracciamento è importate strumento per contenere la pandemia, ma non è indispensabile sia svolto necessariamente da medici, operatori socio sanitari e personale amministrativo, con una formazione ad hoc potrebbero svolgerlo egregiamente liberando professionisti da impegnare nella cura dei malati. Come, sostengono Fp, Filcams e Cgil: “Farmacie e studi privati dei medici di medicina generale non sono luoghi contemplati per percorsi differenziati Covid, potrebbero essere messi a rischio professionisti e pazienti, nonché coloro che si recano negli studi medici o nelle farmacie per altre evenienze.. Avrebbe più senso chiedere a medici di medicina generale, pediatri di libera scelta e a tutti i professionisti sanitari abilitati, anche privati, di dare la propria disponibilità a potenziare l'effettuazione dei test in luoghi dedicati, sanificati, protetti e, per alcune fasce orarie, dai presidi mobili agli ambulatori nelle aziende territoriali già predisposti nei dipartimenti di prevenzione insieme ad altri professionisti del SSN”.
Dicevamo che suggerimenti e idee il sindacato le ha quel che manca è la terza parola chiave: confronto. “Lo abbiamo già fatto e torniamo a farlo – conclude Dettori – chiediamo al ministro della Salute Speranza di convocarci subito e di aprire un confronto duraturo e costante con le organizzazioni sindacali per affrontare insieme una situazione difficilissima”.