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Ridurre le diseguaglianze tra le persone e i territori, restituire universalità ed esigibilità dei diritti in tutto il territorio nazionale. E ancora investire nel personale per garantire condizioni di lavoro e diritti uguali per tutti e tutte. Daniela Barbaresi, segretaria confederale della Cgil, ci illustra il Documento sul nuovo welfare che verrà presentato a Roma il 24 ottobre con Rosy Bindi, Antonio De Caro, Massimiliano Fedriga, Maria Grazia Gabrielli, Giulio Marcon, Ivan Pedretti, Serena Sorrentino e Livia Turco, in una iniziativa che sarà conclusa dal segretario generale Maurizio Landini.
Perché un documento per rilanciare lo stato sociale?
L’emergenza pandemica ha segnato in modo profondo e drammatico la vita delle persone e delle nostre comunità e accresciuto diseguaglianze anche tra i territori, evidenziando i punti di forza ma anche le debolezze strutturali del nostro sistema di welfare e della nostra economia. Per questo, oggi più che mai, nel pieno di una crisi economica e sociale di cui è difficile immaginare durata e conseguenze, è ancor più necessario investire sulla costruzione di un rinnovato e più solido sistema di welfare pubblico, accompagnato da politiche di promozione e di coesione sociale e sostenuto da servizi pubblici forti, a partire dal rilancio del servizio sanitario nazionale e dall’integrazione con il sociale. Servono scelte radicali e concrete per uno stato sociale forte, pubblico e universale che garantisca la salute e il benessere di tutte e tutti.
Sono proprio di questi giorni gli ultimi dati sulla povertà secondo i quali un italiano su 10 è in condizioni di povertà assoluta. È vero che sono aumentate le cause di impoverimento ma forse l’obiettivo fondamentale del welfare state, redistribuire la ricchezza attraverso i servizi, è stato disatteso. Mancanza di fondi o una diversa idea di welfare alla base di tutto ciò?
Gli ultimi dati sulla povertà sono davvero allarmanti. Da questo punto di vista il reddito di cittadinanza ha consentito di dare una prima risposta importante con il sostegno economico a tante persone che si trovano in condizioni di povertà, e – lo dice Istat - ha evitato a un milione di persone di cadere nella povertà assoluta. Per questo deve essere rafforzato, non smantellato. Ma a fianco del RdC serve un adeguato sistema di welfare pubblico capace di rispondere e soprattutto prevenire le necessità delle persone e delle famiglie in condizione di bisogno. Servono risorse ma serve soprattutto un’idea, che è venuta meno negli anni, di sistema di welfare pubblico, universale, inclusivo che sia concretamente promotore e garante dell’uguaglianza sostanziale delle persone e di giustizia sociale
Nel documento si afferma, coerentemente con l’art. 32 della Costituzione, che spetta allo Stato garantire il benessere dei cittadini e delle cittadine. Questo si raggiunge se al fianco di un sistema sanitario universalistico si affianca una rete di servizi sociali. Oggi nonostante la definizione di una prima parte dei Leps non è così. Anzi, si rischia facciano la fine dei Lea. Da dove occorre partire?
Dal considerare la spesa per gli interventi e i servizi sociali e la spesa per la salute delle persone, investimenti. Occorre partire da una radicale inversione di rotta dopo anni di tagli lineari e di assenza di programmazione che ci hanno portato oggi ad avere un gap formativo in alcune professioni drammatico. Occorre partire dal riconoscere con investimenti adeguati il ruolo primario di tutti i lavoratori e le lavoratrici occupati nel settore sanitario, socio-sanitario e sociale. Occorre partire dal rendere esigibili in ogni territorio i Lea e i Leps, quelli già definiti e quelli ancora tutti da scrivere, perché il benessere dei cittadini è un diritto costituzionale e deve essere garantito a tutti in ogni territorio e non può essere una variabile dipendente da dove si è nati. Per questo rifiutiamo ogni idea di autonomia differenziata che porti alla differenziazione dei diritti.
Servono investimenti adeguati e un sistema d'indicatori e monitoraggio delle prestazioni fondato sull’assunto che l’unico standard da perseguire è quello del diritto sociale che deve essere garantito tutti e che le risorse devono essere indirizzate in misura maggiore laddove è maggiore la distanza tra la situazione data e i bisogni cui dare risposta. Serve un sistema in cui le politiche della salute e le politiche sociali siano integrate e sappiano prendere in carico le persone nella multidimensionalità della loro condizione.
Dalla pandemia non siamo ancora usciti ma il Documento di economia e finanza, confermato dalla Nadef appena approvata, stabilisce un progressivo definanziamento del Fondo sanitario nazionale fino ad arrivare nei prossimi anni non solo a spendere meno di prima della pandemia, ma a scendere sotto la soglia del 6,5% del Pil , il che secondo l’Oms mette a rischio la sanità pubblica.
La salute è un diritto e non ha prezzo, ma la sanità ha un costo che deve essere sostenuto adeguatamente, mentre per troppi anni le politiche di austerity e i pesanti tagli hanno sottratto decine di miliardi alla sanità pubblica, e messo a dura prova il Servizio sanitario nazionale e soprattutto la tutela del diritto alla salute delle persone scaricandone i costi sempre più sui singoli. Dopo un incremento importante delle risorse per gli anni 2020-2022 finalizzate al contrasto della pandemia, per il prossimo triennio nella Nadef si prevede di nuovo una riduzione della spesa sanitaria fino a livelli, in rapporto al Pil scende al 6,1%, addirittura inferiori a quelli pre-pandemici.
Come si inverte la rotta?
La necessità di garantire al servizio sanitario pubblico il finanziamento adeguato a rispondere ai bisogni di salute delle persone, allineando l’Italia a Paesi europei come Francia e Germania, è il primo punto per rilanciare la sanità pubblica, a garanzia del diritto universale alla salute e alle prestazioni sociali. Per garantire il diritto a curarsi nel territorio in cui si vive è necessario un forte investimento nel personale sanitario rivedendone anche gli ambiti di competenza, nell’assistenza territoriale, in un’adeguata rete ospedaliera, nella prevenzione; va contrastato il fenomeno della mobilità passiva e data risposta agli inaccettabili tempi d’attesa che finiscono per favorire il ricorso a prestazioni private che hanno costi che non tutti possono permettersi di pagare.
E poi la privatizzazione strisciante – nemmeno troppo – della sanità e del welfare...
Anni di tagli e di tetti alle spese sul personale hanno ridotto l’offerta pubblica e favorito quella privata. Occorre fermare i processi di esternalizzazione e privatizzazione nelle diverse forme in cui si sono concretizzati nella sanità e in generale nel sistema di welfare, compreso il ricorso a professionisti “a gettone” nelle strutture ospedaliere pubbliche. È necessario riformare il sistema degli accreditamenti anche al fine di contrastare il dumping contrattuale in un nuovo rapporto tra pubblico e privato. La stagione del “quasi mercato” (cosiddetto “modello lombardo”) e del pubblico che si ritira per dare spazio al privato si è dimostrata fallimentare per le persone riducendo la risposta al bisogno di salute ed erodendo sempre più i salari e le pensioni. Perciò occorre valutare quali attività proprie del sistema pubblico e universale non possano essere cedute o ridimensionate, e anzi debbano rientrare nella gestione diretta attivando processi di reinternalizzazione e allargamento dei Lea. La revisione complessiva, sia per gli ospedali che per i servizi territoriali, nelle normative sull’autorizzazione e sull’accreditamento delle strutture, deve contribuire a riportare il sistema a una forte governance pubblica e deve rafforzare le garanzie sia per i cittadini sia per chi lavora nei servizi accreditati e convenzionati, ponendo tra i criteri di accreditamento l’applicazione dei contratti nazionali di settore firmati dalle organizzazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale.
Lunedì 24 ottobre si presenta il Documento, e poi come farete a farlo vivere concretamente?
Penso che in questo contesto le nostre proposte, che potranno essere integrate e trovare una sintesi con Cisl e Uil, a fronte dei bisogni crescenti delle persone, dovranno essere fatte vivere in tutto il Paese, nei territori e a livello nazionale, a partire dalla costruzione della legge di bilancio. Sarà quella la prima vera occasione per capire se ci sarà la volontà politica da parte del nuovo governo di fare le scelte strategiche ed economiche necessarie a garantire il sistema di welfare pubblico. Per questo però occorre costruire larghe alleanze con giovani, lavoratori e lavoratrici, pensionate e pensionati, la società civile, il mondo dell'associazionismo non solo a livello nazionale ma anche e soprattutto nei territori. Un ruolo fondamentale deve essere svolto dai sindaci e dai presidenti di Regione a cui chiediamo di esprimersi. Deve essere chiaro a tutti che è il momento delle scelte è adesso.