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In Campania l’aspettativa di vita è la più bassa di Italia, per gli uomini si ferma a 78,8 anni – 2 in meno rispetto alla media nazionale - per le donne a 83 – 1 anno e mezzo in meno della media. E non finisce qui, la Relazione sullo stato sanitario del Paese, pubblicata dal ministero della Salute nel dicembre 2022 afferma cel caso della “mortalità evitabile”, che si riferisce ai decessi delle persone sotto i 75 anni di età che avvengono per cause di morte contrastabili con stili di vita più salutari, con la riduzione di fattori di rischio ambientali e con adeguati e tempestivi interventi di diagnosi e trattamento della malattia, se al Nord e al Centro si presentano i tassi più bassi della media nazionale, al Sud e nelle Isole si confermano quelli più alti. “La situazione più critica è in Campania, 17 morti evitabili ogni 1000 decessi, quella più favorevole nella Provincia Autonoma di Trento”.
Emergenza personale
“I dati su aspettativa di vita e mortalità lo dicono con chiarezza, in Campania il diritto alla salute è davvero poco esigibile”. Lo afferma Alfredo Garzi, segretario generale della Fp Cgil regionale, che aggiunge: “Certo lo stato della sanità è sotto gli occhi di tutti, però occorre ricordare che i determinanti della salute sono diversi e da noi sono tutti in crisi, Esiste una correlazione stretta tra benessere delle persone e il fatto che possano lavorare avere un reddito, che vivano in un ambiente salubre, che i figli vadano a scuola, qui esistono territori con un tasso di dispersione scolastica arriva al 34”. C'è una correlazione stretta tra benessere delle persone e il fatto che possono lavorare e quindi avere un reddito. C'è il problema dell'inquinamento, c'è il problema della dispersione scolastica, c'è una correlazione stretta? Questi sono territori dove si arriva anche al 34% della dispersione scolastica”. Tutto questo incide eccome sulla salute di cittadini e cittadine se si aggiunge il sistema sanitario pubblico in crisi profonda il disastro è completo. La Regione Campania, dopo anni di commissariamento concluso nel 2020, è ancora sottoposta al piano di rientro. Mancano oltre 15000 operatori sanitari
Medici e infermieri
Come si fa a garantire salute se la spesa pro capite è la penultima del Paese, 2.115 euro, per non parlare della distanza dai 5.086 euro in Germania e 3.916 euro in Francia? Ed allora non è un caso che, rispetto alla media nazionale, mancano all’appello circa 7.000 infermieri, ma considerando anche i nuovi pensionamenti e il personale previsto dal Pnrr si arriva facilmente a 10.000 unità. E poi, solo per avvicinarsi alle altre regione che pure denunciano carenza di personale, occorrono almeno 4.200 medici dipendenti del Ssn, e tra i 600 e gli 800 medici di Medicina Generale.
La grande fuga
Racconta ancora Garzi: “lo abbiamo scoperto negli ultimi giorni, un medico da tempo strutturato in un importante pronto soccorso napoletano con contratto a tempo indeterminato, ha accettato un posto a tempo determinato pur di andar via dal servizio di emergenza. E siamo fortunati perché è rimasto nel sistema pubblico”. Il nodo della questione sta tutto qui. I medici, e non solo loro, fuggono dal sistema pubblico trovando assai più conveniente spostarsi nel privato. Per questioni legate al reddito e per quelle legate alla qualità della vita. Partiamo dal reddito, lo stipendio base di un medico ospedaliero si aggira attorno ai 2.500 euro mensili, lo stesso medico che operi come libero professionista, vista la riforma fiscale del governo Meloni, fino a 85mila euro di reddito ha una tassazione al 15% portando così a casa il triplo o il quadruplo del collega dipendente. Se a questo si aggiunge che i tempi di lavoro e quindi la qualità della vita viene così determinata da se stessi, il gioco è presto fatto. I giovani medici non partecipano ai concorsi pubblici, chi c’è scappa e gli uni e gli altri, lavorano per il pubblico come medici a gettone, a partita Iva o attraverso le cooperative.
Una strada apparentemente senza uscita
“Fino a poco tempo fa denunciavamo lo spostamento dei pazienti dalla sanità pubblica verso quella privata – afferma ancora il segretario della Fp Cgil - oggi la situazione è assai più grave, è il privato che entra nel pubblico e gliene sottrae pezzi”. Le cause di questo vero e proprio disastro sono diverse e difficili da correggere, difficile ma non impossibile. Il numero chiuso nelle università, il numero limitate delle borse di specializzazioni, ma anche la poca appetibilità del servizio pubblico, da un lato e la convenienza del privato dall’altro fanno sì che l’emergenza personale sia davvero grave.
Le liste di attesa
Nel 2022, è stato superato il limite delle visite d'intramoenia, rispetto a quelle istituzionali, per le quali si registrano attese di mesi ed in alcuni casi anni, per le prestazioni sanitarie non urgenti. Il servizio sanitario regionale soddisfa solo il 15% della cittadinanza, (quella che ha la percentuale più alta di patologie croniche) l'altro 85% è affidato al sistema privato accreditato che resta tale solo per i primi giorni del mese dopodiché i campani sono costretti a pagare, o a curarsi fuori regione causando alla Campania una perdita di oltre 180 milioni all'anno dal proprio bilancio, o purtroppo a non curarsi o curarsi in ritardo rispetto alle indicazioni cliniche. E qui è stato utilizzato solo il 35% di quando il Governo Draghi stanzio per il recupero delle liste di atte, verosimilmente il resto è stato utilizzato per le altre emergenze del bilancio sanitario della regione. Il pubblico non funziona, il privato accreditato non riesce a soddisfare tutte le richieste visto che a metà mese finiscono i soldi e allora il 5,41% delle famiglie campane spende oltre il 20% del proprio reddito per “comprarsi le cure”, ben il 4,7% degli abitanti rinuncia alle cure perché non in grado di pagarle di tasca propria.
La medicina di territorio
“Da noi non esiste più” afferma con nettezza Garzi, “non esistono ambulatori territoriali, e i medici di medicina generale sono pochi. Risultato, non ci sono più sentinelle in grado di tenere sotto controllo lo stato di salute della popolazione, non si fa più prevenzione e tutto si scarica sui pronto soccorso ormai ovunque in regione al collasso”. Anche il Pnrr rischia di rimanere una promessa non esaudita, erano previste 172 Case di Comunità e 48 Ospedali di Comunità ma non sono previsti fondi per la assunzione di personale vera risposta ai problemi cronici della regione.
Secondo i dati del Ministero della Salute, nel 2021 l’assistenza domiciliare integrata è stata garantita a 1.298 cittadini e cittadine ogni 100mila, cioè 18 ore di assistenza infermieristica. La Campania è ultima per pesti in strutture residenziali per anziani (210 ogni 100mila over 65) e invece di avere un consultorio ogni 20mila abitanti, come prevede la legge, ne ha 1 ogni 80mila.
Che fare?
Alcune ricette valgono per la Campania come per il Paese, “Servono investimenti, soprattutto per il personale – suggerisce Garzi – e trovare meccanismi che rendano meno appetibile il primato a cominciare dalla fiscalità. E poi sarebbe necessario un assessore regionale dedicato alla salute che da noi c’è”. Chiosa Nicola Ricci, segretario generale della Cgil regionale: “Sosteniamo con forza il rilancio di un piano straordinario di assunzioni nel pubblico impiego che vada oltre il turn over e la stabilizzazione dei precari. Allo stesso tempo è necessario intervenire sullo sbilanciamento verso la sanità privata per alleviare le liste di attesa. Infine va rivista dalla giunta De Luca la politica dei tetti di spesa che oggi dopo appena i primi 8 giorni del mese esaurisce la dotazione economica e non consente ai cittadini di curarsi”.