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È un fenomeno complesso quello della povertà, non solo ha diverse cause, ma attiene al modello di sviluppo del Paese. Il 2021 è stato l’anno della ripresa economica post pandemia; eppure, i poveri relativi sono aumentati. La redistribuzione della ricchezza non va a chi la produce con il proprio lavoro. Questo modello economico produce diseguaglianze, il mercato del lavoro ne è la dimostrazione: precarietà e bassi salari. Ne ragioniamo con Daniela Barbaresi, neo segretaria confederale della Cgil, per lei occorre intervenire subito su due fronti: aumentare i salari e ricostruire un welfare pubblico
Gli ultimi dati, quelli diffusi dall'Istat pochi giorni fa, dicono molte cose, tutte quanti allarmanti. Innanzitutto, i dati dicono che nel 2021, anno della ripresa economica, con il PIL che è arrivato quasi al 7%, la povertà non è diminuita, anzi. Cosa vuol dire questo?
La situazione estremamente difficile, 5,6 milioni di persone in povertà assoluta, che si equivalgono al numero dello scorso anno, rappresentano il picco più altro degli ultimi 15 anni. E purtroppo, non finisce qui, c’è un altro indicatore particolarmente preoccupante. Rispetto allo scorso anno è crescita la povertà relativa. Questo significa che il fenomeno della povertà, tra assoluta e relativa, riguarda 14 milioni di persone su 59 milioni di abitanti. Tanti, davvero troppi. Occorre accendere i riflettori su questo fenomeno e intervenire.
Se la povertà assoluta non è diminuita e quella relativa è aumentata, a chi è andata la ripresa del 2021?
La condizione di povertà è cresciuta soprattutto per alcune categorie. Innanzitutto, i minori, ben il 14% di loro si trova in condizioni di povertà, e poi gli anziani soli. E ancora, i migranti sono i più colpiti così come sono tornati ad approfondirsi i divari territoriali. Se nel 2020 si registrava un aumento della povertà al Nord, nel 2021 al settentrione la situazione è leggermente migliorata mentre al Sud non solo non va meglio ma va addirittura peggio. Questo significa appunto che il 2021 ha portato con sé un aumento delle disuguaglianze. E la ripresa sicuramente ha avuto un impatto diseguale tra territori, tra generazioni, tra le condizioni delle persone. Ma c’è dell’altro. A leggere bene i numeri si capisce perfettamente, visto l’aumento significativo della povertà relativa, che una delle criticità maggiori riguarda una parte importante del mondo del lavoro. Bassi salari, precarietà, part time involontario non solo non mettono al riparo dall’impoverimento, ma ne sono causa. È l’Inps ad attestarlo un lavoratore, una lavoratrice su tre hanno una retribuzione annua lorda sotto i 10 mila euro.
La questione allora è restituire al lavoro dignità
Questa è una grande priorità. E poi pensiamo occorra agire su più fronti, naturalmente su quello del lavoro, garantendo stabilità, orari e salari adeguati. Occorre combattere il fenomeno del part time involontario che riguarda, peraltro, in gran parte le donne. La questione salariale è una vera e propria emergenza. Occorre non dimenticare, però, che il fenomeno della povertà è complesso e richiede una pluralità di azioni per affrontarlo, interventi di carattere sociale sono indispensabili e fondamentali, a cominciare dal reddito di cittadinanza.
Il reddito di cittadinanza, dicevi, certo se in questi anni di pandemia non ci fosse stato la situazione sarebbe ancora più drammatica. Però proprio i recenti dati Istat ci dicono che perlomeno su due versanti, il reddito di cittadinanza non va bene. Quello delle famiglie con i figli perché aumentano i minori in povertà e quello dei migranti.
Il reddito di cittadinanza, o meglio uno strumento di contrasto alla povertà come il reddito di cittadinanza, va assolutamente difeso, ma soprattutto va rafforzato, migliorato proprio per affrontare le criticità sui due versanti che ricordavi. Occorre modificare quei punti che rendono più difficile l'accesso al reddito di cittadinanza per i migranti, ma soprattutto occorre dare una risposta maggiore alle famiglie più numerose. La discussione di questi giorni appare assolutamente delirante, viene rappresentato l'ostacolo alla disponibilità a lavorare. È una vergogna solamente pensarlo. Stiamo parlando, mediamente, di poco più di 500 euro al mese a nucleo familiare. Pensare che queste cifre siano un'alternativa al lavoro è veramente un’indecenza.
Lo sottolineavi, quello della povertà è un fenomeno assai complesso, strumenti di sostegno economici sono sufficienti?
Sono indispensabili ma non sufficienti. Occorre pensare anche a un sistema più ampio di presa in carico, un sistema più ampio di welfare pubblico che si prenda cura delle persone, delle famiglie, soprattutto quelle in più difficoltà. Quando parliamo di reddito di cittadinanza parliamo di famiglie con figli minori, parliamo di famiglie con anziani e in difficoltà, parliamo di famiglie in condizioni di disagio. E parliamo anche di tante persone all'interno di quelle famiglie che sono difficilmente occupabili. Quindi il lavoro è la prima risposta, ma dobbiamo essere anche consapevoli che le famiglie beneficiarie del reddito di cittadinanza si trovano spesso in condizioni di disagio che va al di là della mera questione economica.
Stiamo ragionando di dati che fotografano il fenomeno nel 2021, prima dell’aumento dell’inflazione, del costo dei beni energetici e della guerra. Come intervenire per evitare che tra un anno ci troviamo a commentare dati ben peggiori?
L’inflazione al 7%, l’aumento dei costi dei beni alimentari sono tutte questioni che pesano molto più sulle famiglie a basso reddito; quindi, il rischio di un ulteriore aumento delle diseguaglianze è più che reale. Occorre innanzitutto creare lavoro di qualità, adeguatamente retribuito. La questione salariale va affrontata subito. E poi, oltre al rafforzamento, consolidamento e potenziamento delle misure di contrasto alla povertà come il reddito di cittadinanza, dobbiamo pensare anche a come rafforzare più complessivamente la rete di welfare pubblico. Servizi per i bimbi e le bimbe, per gli anziani, per la non autosufficienza. I bisogni crescono e cambiano, è necessario dare risposte adeguate.