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Domanda: il proprietario di un bar dell’Argentario o della Costa Smeralda che tanto si è lamentato di non aver trovato manodopera questa estate, sostenendo che la "colpa" fosse del Reddito di cittadinanza, perché non ha assunto uno dei tanti cosiddetti occupabili? Magari la risposta è che nessuno rispondeva alle sue necessità, era troppo “anziano”, troppo poco scolarizzato. O piuttosto che difficilmente avrebbe potuto assumerlo non rispettando i contratti collettivi di lavoro, dovendo passare per il collocamento pubblico.
Secondo Tania Scacchetti, segretaria confederale della Cgil con delega al mercato del lavoro, “certamente c’è una difficoltà nel far incontrare domanda e offerta di lavoro. Innanzitutto perché i cosiddetti occupabili hanno caratteristiche che rende difficilissimo per loro trovare una occupazione, non sono cioè giovani sul divano. La verità è che per la gran parte di loro un lavoro non c’è".
Poi, certo, osserva la sindacalista "il sistema delle politiche attive - ormai pubblico-privato – non è ancora perfettamente organizzato per rispondere a tutte le necessità, sia dal punto di vista del personale che dei servizi in grado di erogare. Ma c’è un problema in più di cui troppo poco si parla, le aziende non si rivolgono ai centri per l’impiego per reclutare manodopera”.
E già perché gli imprenditori vogliono scegliere chi assumere e non pescare da liste precostituite. E poi perché molto – certo non tutto ma molto – del lavoro nei servizi e nel terziario oscilla tra il grigio e il nero. Orari di lavoro non rispettati, paga oraria nemmeno, riposi e turni manco a parlarne, eccetera.
E allora la riflessione si sposta anche sul mercato del lavoro. Aggiunge Scacchetti: “Le politiche attive sono figlie del sistema economico e della condizione del mercato del lavoro più complessiva, non è la politica attiva che genera occupazione: è il modello economico e gli investimenti a farlo. Se tutto si gioca sulla competizione sui costi a partire da quello del lavoro, e quindi sulla riduzione dei diritti e sulla precarizzazione, non c’è politica attiva che tenga. Il risultato sarà sempre lavoro povero”.
Un merito indiretto che ha portato con sé il Reddito di cittadinanza è proprio quello di aver reso un po’ meno ricattabili i poveri. Il lavoro, così come sancito dalla nostra Costituzione, non è sfruttamento, è dignità, e allora non esser costretti dal bisogno, grazie al RdC, e quindi non accettare turni massacranti e salari da fame, non solo è lecito ma è anche giusto. Tenendo conto che stiamo parlando di un assegno medio di 500 euro a nucleo familiare.
In realtà, se davvero fossero occupabili secondo i criteri e le necessità del sistema delle imprese, quelle centinaia di migliaia di sottoscrittori del Patto per il lavoro, un’occupazione l’avrebbero. “La verità – incalza Scacchetti – è che tutto questo ragionare di occupabilità e Reddito di cittadinanza è assolutorio per le politiche pubbliche. Se lo Stato dice che la colpa è di chi è in povertà, assolve sé stesso e assolve il sistema delle imprese. Anzi per il sistema delle imprese tutto ciò diventa un alibi”.
Il ragionamento ci potrebbe portare lontano, magari a interrogarci su come stia insieme la necessità di aumentare le competenze di base degli italiani e delle italiane, con la diminuzione delle scuole e in generale di tutto il perimetro del pubblico, così come previsto dalla legge di bilancio.
In ogni caso “la questione – conclude la segretaria – è che stiamo parlando di un grande tema che riguarda l’intera società, ma che si vuole ridurre a questione individuale. Se, di nuovo, non avere un lavoro è una colpa del singolo, oggi si attacca il Reddito di cittadinanza, domani si colpisce l'indennità di disoccupazione, poi potrebbe toccare all’indennità di invalidità. Insomma, ciò che questo governo sta mettendo in discussione è un principio di diritto di cittadinanza. Lo Stato non ha il compito di essere caritatevole, ha il compito di accompagnarti per renderti un cittadino in grado di superare gli ostacoli. Questo è ciò che afferma la Costituzione”.
E così si riafferma il fatto che il Reddito di cittadinanza è – e potrebbe esserlo ancora meglio – uno strumento universale di contrasto alla povertà, che la distinzione tra occupabili e non occupabili non esiste in natura ma è unicamente strumentale a un’idea punitiva della fragilità. E forse alla volontà, nemmeno troppo nascosta, di creare un esercito di manodopera a bassissimo costo e senza diritti a disposizione di un sistema economico e imprenditoriale fondato sulla competizione al ribasso, quando non sullo sfruttamento. La reintroduzione dei voucher sta lì a dimostrarlo.