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Il conflitto tra generazioni – quello dei “padri contro i figli” – attraversa il dibattito politico, in particolare quando si parla di welfare e di lavoro. Si afferma che, a causa della spesa pubblica troppo generosa per gli anziani, si ostacola la protezione sociale, attuale e futura, a favore dei giovani. La ricetta dei sostenitori dell’esistenza di un conflitto tra le generazioni è nota: la condizione dei giovani (e il loro futuro) sarebbe migliore togliendo qualcosa ai più anziani.
Nel n. 3/2018 della Rivista delle Politiche Sociali, curato da Giovanni Battista Sgritta e Michele Raitano, questo presunto conflitto tra generazioni sull’accesso ai diritti sociali viene affrontato proprio per sgombrare il campo da equivoci e strumentalizzazioni. I contributi dei vari autori propongono, da diversi punti di vista, una valutazione sulle capacità del nostro welfare, e delle politiche pubbliche più in generale, di garantire alle nuove generazioni (i giovani di oggi e i giovani di domani) “quello che è stato offerto alle precedenti in termini di opportunità di occupazione, accesso a un’istruzione di buona qualità, imposizione fiscale, equa distribuzione delle risorse disponibili senza la mediazione della famiglia, servizi, trattamenti pensionistici ecc.”.
Nei vari contributi raccolti nel numero, si dimostra che il conflitto fra padri e figli non esiste. Soprattutto perché la contrapposizione fra le diverse generazioni che vivono nello stesso tempo storico (con diverse età) non è la chiave corretta per analizzare i fatti. Sgritta e Raitano sostengono che “non ha senso comparare in un dato periodo le retribuzioni degli attuali trentenni e sessantenni, così come non è molto utile confrontare la generosità di sussidi di disoccupazione e pensioni, perché una comparazione fra contemporanei si limita a descrivere una fotografia distorta (in un solo punto del tempo) delle evoluzioni di diverse generazioni e non riesce altresì a mettere in luce nessuna delle cause sottostanti le possibili differenze”.
Viene così proposta un’altra interpretazione: fare un confronto fra le condizioni delle persone nate in periodi diversi (diverse coorti di nascita) quando si trovano ad avere la stessa classe d’età, nelle varie fasi della loro vita: all’inizio dell’attività lavorativa o al momento del pensionamento. Si sono comparate così le condizioni, le opportunità e i diritti delle persone nate alla fine della seconda guerra mondiale (i cosiddetti baby-boomers) con quelle dei nati nella prima metà degli anni settanta del XX secolo.
Un secondo focus del volume riguarda le prospettive. Si prefigura, per esempio, quale potrebbe essere il futuro pensionistico di quelle coorti di età che oggi hanno tra 20 e 40 anni. Il Tema si articola in otto contributi. Il saggio iniziale di Sgritta e Raitano contribuisce a inquadrare la questione generazionale, spostando lo sguardo dal presente e dal passato verso il futuro. Il saggio di Marcello Natili e Matteo Jessoula tratta il cosiddetto “processo di ricalibratura intergenerazionale” dei sistemi di welfare, in corso nei Paesi del Sud Europa, comparando le evoluzioni dei sistemi pensionistici e di reddito minimo tra diverse generazioni. Tra le altre valutazioni, si segnala come i tagli del settore pensionistico non siano serviti per bilanciare interventi a favore dei “figli”.
A seguire, l’articolo di Emanuela Struffolino e Michele Raitano considera, con un’approfondita analisi, i cambiamenti tra coorti nelle traiettorie d’ingresso nel mercato del lavoro in Italia, segnalando che sono la diffusa precarietà e i bassi livelli di istruzione i principali fattori di debolezza, con le donne maggiormente esposte. E ciò non è causato certo dal conflitto generazionale. Carlo Mazzaferro tratta invece la situazione del sistema previdenziale italiano, con un’analisi delle condizioni istituzionali, demografiche ed economiche nelle quali quattro generazioni rappresentative hanno accumulato i diritti per la loro pensione.
Della trasmissione intergenerazionale di reddito e ricchezza tratta l’articolo di Luigi Cannari e Giovanni D’Alessio, nel quale emerge quanto ancora pesino le condizioni di partenza e il ruolo delle eredità. Mentre le stime dell’elasticità dei redditi da lavoro confermano l’Italia nel novero dei Paesi a bassa mobilità intergenerazionale. Il contributo di Barbara Da Roit e Marta Pantalone riflette su come gli attuali quaranta-cinquantenni si stiano dirigendo verso l’età anziana: essi potranno contare su un più limitato numero di caregiver potenziali, data la riduzione del numero di figli e l’incidenza del childlessness. Gli autori sostengono che “è probabile che carriere lavorative più instabili associate a un sistema pensionistico che riproduce in età anziana le disuguaglianze di reddito in età adulta faccia riemergere il problema della povertà tra gli anziani e ne incrementi la disuguaglianza”, segnalando così l’urgenza di adeguate politiche sociali e per le cure a lungo termine (Ltc).
Della situazione in Europa si occupa l’articolo di Pieter Vanhuysse, che affronta le possibili opzioni in termini di politiche da adottare per promuovere l’equità tra le generazioni, dalle più ovvie (investimenti sulla prima infanzia) alle più radicali (voti per procura ai bambini). Chiude la sezione monografica il saggio di Giuseppe Massafra, segretario nazionale Cgil, sul ruolo che il sindacato può svolgere nel consentire di raggiungere un equilibrio di più alto livello fra competenze acquisite dai lavoratori più giovani e qualità dell’occupazione per loro disponibile.
Il contributo di Massafra si sofferma in particolare sulle politiche sindacali volte a migliorare le transizioni scuola-formazione e lavoro. Il dirigente della Cgil spiega perché la confederazione sta impegnandosi su questi temi: innanzitutto, per ottenere un investimento sul sistema di politiche pubbliche volte a innalzare le competenze dei giovani e per un miglioramento delle loro transizioni nel sistema educativo e verso il mondo del lavoro. In parallelo, l’impegno della Cgil mira a creare un sistema di politiche attive del lavoro per gestire i momenti di crisi, che spesso caratterizzano le transizioni occupazionali proprio dei giovani.
La sezione Attualità tratta di “Innovazione sociale e finanziaria”, con un primo saggio di Andrea Ciarini (“Tra finanza e innovazione sociale. Pressioni esterne e varietà nazionali”) e un altro di Lisa Dorigatti, Anna Mori e Stefano Neri (“Pubblico e privato nei servizi sociali ed educativi: il ruolo delle istituzioni del mercato del lavoro e delle dinamiche politiche”). Chiude il volume il Dibattito su “Periferie e inclusione sociale”, dedicato alla relazione sull’attività svolta dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di sicurezza e sullo stato di degrado delle città e delle loro periferie. Ne discutono Ivan Lembo (Cgil Milano) e Andrea Morniroli (della cooperativa sociale Dedalus di Napoli).
Nel prossimo numero di Rps, in uscita a fine mese e a cura di Ugo Ascoli e Micol Bronzini, il Tema sarà “Le nuove forme dell’abitare”.
Stefano Cecconi è direttore de La Rivista delle Politiche Sociali