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Mentre in Germania, per contrastare la congiuntura economica, si innalzano salario minimo e importo della misura di sostegno al reddito, con un incremento del 12% per 5 milioni di percettori, nella consapevolezza che nei momenti di crisi bisogna poter contare sullo stato sociale, in Italia il reddito di cittadinanza viene cancellato con le persone e le famiglie che, pur trovandosi nella stessa condizione di povertà, si troveranno ad accedere a percorsi e strumenti profondamente diversi in base a criteri assolutamente arbitrari: ci sarà chi potrà accedere all’assegno di inclusione, chi al supporto per la formazione e il lavoro, e chi invece resterà fuori da ogni misura di sostegno e lasciato solo.
Ma in queste settimane estive, l’accanimento verso i poveri si è sostanziato anche con le affermazioni davvero incommentabili di diversi esponenti del governo: dalla ministra Calderone che, nel suo mondo incantato, non vede nessun allarme sociale, al ministro Lollobrigida che si vanta dell’attenzione dei “successi” della carta acquisti “Dedicata a te”, come se un contributo una tantum di 382 euro, meno di un caffè al giorno, possa essere una risposta sufficiente a chi si trova in difficoltà economiche. Per non parlare delle farneticazioni sui poveri la cui alimentazione sarebbe migliore di quella dei ricchi. Affermazioni non degne di chi rappresenta le istituzioni al massimo livello e che sono l’espressione del disprezzo del governo verso chi si trova in condizioni di povertà e bisogno estremo, peraltro in un momento in cui i rincari proprio dei beni alimentari hanno superato il 10%.
La verità è che il governo, nella sua foga ideologica, lascia sole le persone nella loro disperazione sottintendendo sempre una colpevolizzazione di coloro che si trovano in condizione di povertà che dovrebbero “dimostrare interesse a mettersi in gioco per inserirsi nel mondo del lavoro”, come ha affermato nei giorni scorsi il sottosegretario Duringon. Se sei povero, se sei disoccupato, se sei in difficoltà, per il governo la colpa è tua che non fai abbastanza per uscire dalla tua condizione, peraltro dimostrando di voler ignorare che se si è imprigionati nella spirale fatta di precarietà, lavoro povero, discontinuo o part time, si può essere poveri anche lavorando.
Ma come pensa il governo che debbano sopravvivere coloro che perdendo il Rdc non potranno accedere a nessun sostegno? E con cosa faranno la spesa coloro che dal 1° settembre potranno accedere al Supporto per la formazione e il lavoro in attesa di frequentare effettivamente i corsi?
E basteranno 350 euro per vivere e pagare l’affitto dopo che il governo ha anche azzerato i fondi per l’affitto e contro la morosità incolpevole?
E la partecipazione a progetti utili alla collettività, alle attività del servizio civile o di volontariato, aumenterà concretamente la loro occupabilità e le loro opportunità di inserimento lavorativo o semplicemente sono soluzioni che trasudano una logica risarcitoria se non punitiva verso chi accede a un contribuito pubblico?
Una situazione di forte preoccupazione condivisa ampiamente anche dai sindaci, che l’allarme sociale lo lanciano eccome, fortemente preoccupati di come potranno farsi carico di dare risposte alle tante persone e famiglie che si stanno già rivolgendo loro ma che si trovano senza adeguate risorse economiche e professionali e che a loro volta sono stati lasciati soli dal governo a farsi carico del problema della povertà e della fragilità crescenti.
C’è poi il problema del forte impatto che la cancellazione del reddito di cittadinanza ha in tante aree del Paese e soprattutto in quelle del Sud, dove al disagio di tante famiglie, alle difficoltà economiche e occupazionale di interi territori, si sommano anche le maggiori difficoltà del sistema di welfare pubblico.
È necessario che, a partire dalla legge di Bilancio, venga realizzato un forte rafforzamento dell’infrastrutturazione sociale per rispondere ai bisogni crescenti e molteplici delle persone in condizioni di difficoltà e disagio (economico, abitativo, educativo, sociale, assistenziale ecc.), per poterle accompagnare con strumenti di vera presa in carico garantendo loro interventi e servizi pubblici, e sostegni. Ma soprattutto è necessario ripristinare uno strumento di sostegno al reddito che abbia carattere universale per contrastare la povertà perché, in un Paese che voglia considerarsi civile, nessuno e in particolare chi si trova in difficoltà, deve essere lasciato solo e perché è responsabilità della Repubblica, come prevede la Costituzione, si preoccupi di rimuovere le cause di diseguaglianze e povertà, indicatori di arretratezza e profonda ingiustizia sociale.
Anche per questo, dopo una campagna capillare di assemblee in tutti i luoghi di lavoro e nei territori, il 7 ottobre saremo di nuovo in piazza in una grande manifestazione nazionale a Roma per un’altra idea di Paese, di società, di giustizia sociale.
Daniela Barbaresi, segretaria confederale della Cgil