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Dieci mesi. È il tempo che rimane a Quota 100 per andare in pensione. L’esperimento di una uscita anticipata dal lavoro legata all’età anagrafica (62 anni) e agli anni di contribuiti versati (38) introdotto nel 2019 dal governo giallo-verde di Giuseppe Conte scadrà infatti il 31 dicembre 2021. La decisione sul che fare, ovvero se avviare una vera riforma della legge Fornero superando gli interventi spot attuati finora, spetta al governo Draghi. Il premier incaricato non si è ovviamente ancora pronunciato nel merito, ma è sicuro che le pensioni saranno uno dei capitoli della sua agenda. Anche perché l’Italia deve rispondere alle pressioni dell’Europa, che continua a ritenere necessarie nuove riforme. Quota 100 è stata uno dei cavalli di battaglia della Lega di Salvini (anche perché ha riguardato soprattutto gli operai del Nord), mentre i sindacati confederali – e in particolare la Cgil – hanno sempre messo in evidenza i punti di debolezza della misura, prima di tutto perché esclude la maggioranza dei lavoratori e crea nuove diseguaglianze. Le cifre sulla sua attuazione parlano chiaro. Vediamole.
Risorse risparmiate
Secondo i dati dell’Inps le domande di Quota 100 ricevute e accolte dal primo trimestre 2019 al quarto trimestre 2020 sono state 267.802. Secondo le elaborazioni dell’Osservatorio Previdenza della Cgil nazionale, sono stati 268 mila gli anticipi pensionistici con questo strumento e, a fine anno, la proiezione porta a 377 mila (con una spesa di 14 miliardi rispetto ai 21 stanziati). L'adesione a quota 100 pensioni è stata dunque molto al di sotto del milione di uscite anticipate dal lavoro che si prevedevano quando la misura venne varata. Delle 267.802 domande accolte al 31 dicembre 2020, 150.768 sono del 2019, mentre, 117.034 del 2020. Le domande accolte sono state pari al 74,39 per cento di quelle presentate. Considerando il flusso di domande accettate entro l’anno scorso, in linea con l’analisi dell’Osservatorio previdenza Cgil del 22 luglio 2020, le domande di pensione Quota 100 che verranno accolte nel 2021 viene stimato in 117.034.
Nell’analisi aggiornata dell’Osservatorio troviamo anche un dettaglio molto importante che riguarda i costi dell’intera operazione Quota 100 e la cifra delle risorse risparmiate rispetto a quelle stanziate. I costi complessivi stimati nel triennio ammontano infatti a 14.519.610.323 euro, mentre, quelle stanziate nella legge di Bilancio 2019 sono pari a 20.988.000.000 euro. Vi è quindi un residuo di risorse che non verranno utilizzate nel triennio, pari 6.468.389.677. Un’altra considerazione importante riguarda le esclusioni. Quota 100, paradossalmente, ha penalizzato le fasce più deboli delle classi lavoratrici a partire dalle donne e da quel grande esercito di lavoratori deboli, precari e con contratti saltuari. “Le domande di ‘Quota 100’ presentate sino al dicembre.2020 sono 359.964 – spiega Ezio Cigna, responsabile Previdenza pubblica della Cgil nazionale – ma le accolte sono state solo 267.802 ( di cui solo il 28,8% donne) mentre 46.440 sono le respinte e 45.722 sono ancora in istruttoria. Numeri che sviluppati secondo l’attuale flusso delle domande, confermano che ‘Quota 100’ è una misura che coinvolgerà poco più di un terzo della platea prevista nel triennio, ossia 384 mila persone anziché 973mila, determinando un avanzo importante di risorse”. “Nel prossimo triennio, anche analizzando il blocco dell’adeguamento alla speranza di vita e la proroga di Opzione donna – prosegue Cigna – non verranno utilizzati 6 miliardi 468 milioni, e nello specifico 1 miliardo 309 milioni nel 2019, 2 miliardi746 milioni nel 2020 e 2 miliardi 411 milioni nel 2021”.
Nel documento allegato potete trovare tutti i dettagli.
Niente proroga
Il segretario confederale della Cgil, Roberto Ghiselli, che ha la delega alle politiche previdenziali, è intervenuto più volte sull’argomento: "La sola proroga di Quota 100 rappresenterebbe un ennesimo intervento spot che non modificherebbe la legge Fornero e non darebbe risposte alle persone che lavorano. Dopo una proroga di uno o due anni ci si ritroverebbe al punto di partenza e comunque nel frattempo per chi non raggiunge i 38 anni di contributi, o i 62 anni di età, non cambierebbe assolutamente nulla".
"È necessaria quindi una riforma seria e duratura – ha aggiunto il sindacalista – che consenta a tutti i lavoratori di poter scegliere quando andare in pensione dopo i 62 anni o con 41 anni di contributi, e in particolare che affronti il tema di chi fa i lavori manuali o gravosi, riconosca il lavoro di cura e la situazione specifica delle donne e che dia una prospettiva previdenziale ai giovani e a chi fa lavori poveri o discontinui. In sostanza una riforma che guardi al mondo del lavoro di oggi e a quello futuro e non a quello che è stato. Il fatto che tutte le persone che andranno in pensione da ora in poi avranno prevalentemente un calcolo contributivo, rende queste misure non solo eque socialmente ma anche compatibili finanziariamente. Su questi argomenti il nuovo governo dovrebbe riprendere il confronto con le organizzazioni sindacali".
Nuove flessibilità
Secondo l’economista Gianni Geroldi, uno dei massimi esperti in Italia di sistemi previdenziali, si tratta di lavorare su due filoni: l’introduzione di una pensione di garanzia che permetta di fruire del diritto alla previdenza anche a tutti quei lavoratori e a quelle lavoratrici che hanno carriere professionali discontinue e deboli (magari perché interrotte da periodi di cura dei familiari) e introdurre elementi di flessibilità in uscita oggi impossibili con le regole della legge Fornero. Con le riforme delle pensioni si è lavorato finora sul concetto di sostenibilità finanziaria del sistema in vista dell’invecchiamento progressivo della popolazione e del rapporto tra lavoratori attivi e pensionati. Ma non si era previsto un andamento così negativo del mercato del lavoro come quello che poi si è effettivamente realizzato. Si tratta quindi di studiare di nuovo i parametri e i coefficienti che vengono utilizzati per stabilire uscite anticipate e introdurre appunto forme di pensionamento più flessibile senza eccessive penalizzazioni delle rendite pensionistiche. Geroldi fa parte di una delle commissioni che erano state avviate durante il governo Conte.
Le commissioni si dovevano occupare sia del problema annoso della separazione tra spese previdenziali vere e proprie e spese per l’assistenza sociale, sia di impostare i cardini della riforma che sostituirà la Fornero. Era stata avviata anche una commissione di studio con i sindacati per la definizione formale dei “lavori gravosi” per introdurre una differenza nel calcolo dell’aspettativa di vita. Ci sono studi molto accreditati (quello dell’Università di Torino per esempio) che dimostrano un concetto intuitivo: l’aspettativa di vita varia a seconda del lavoro che si è svolto. Dallo studio torinese è emerso per esempio che un operaio di fabbrica vive in media tre anni in meno di un dirigente della stessa fabbrica.
Tutti questi temi rimangono aperti e saranno presto sul tavolo di Draghi. Si tratta di decidere anche sulle altre misure messe in campo finora – Opzione donna, Ape sociale – mentre è urgente la definizione e catalogazione dei lavori gravosi e usuranti. Grande capitolo, in tutto ciò, quello relativo alle pensioni dei giovani. Secondo gli esperti, la pensione di garanzia è la traccia su cui marciare. Il premier incaricato dal presidente Mattarella ha annunciato la sua volontà di avviare una nuova stagione di confronto con le parti sociali. Sulle pensioni avremo nodo di vedere innovazioni positive che rispondano ai tanti difetti e alle tante iniquità del sistema vigente?