“I ricchi diventano sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri”. I sociologi lo definiscono "effetto San Matteo": è il fenomeno che descrive scientificamente quel meccanismo paradossale per cui le nuove risorse disponibili vengono redistribuite tra i partecipanti in proporzione a quanto già possiedono. Un circuito vizioso insito nel sistema di assegnazione dei bonus e di accesso ai servizi pubblici, penalizzante proprio per le famiglie che ne avrebbero più bisogno, quelle che vivono in condizioni di difficoltà. La povertà educativa e la povertà economica sono due fenomeni che si alimentano reciprocamente, ciascuna è causa e conseguenza dell’altra. Secondo i dati dell’Atlante dell’infanzia a rischio, curato da Save the children, il numero dei bambini in povertà assoluta è triplicato negli ultimi dieci anni (sono oltre 1,2 milioni), mentre la spesa pubblica a loro destinata continua a rappresentare una quota marginale degli investimenti.
La situazione di crisi generata dal Covid-19 non ha fatto altro che amplificare le condizioni di disagio preesistenti, dimostrando l’insufficienza delle politiche per l’infanzia adottate dal governo. Le misure introdotte a marzo con il decreto cura Italia, rinnovate con il decreto rilancio, hanno riguardato una platea ridotta di lavoratori con figli. A oggi, solo 242 mila hanno fatto domanda per il congedo previsto per genitori con bambini di età non superiore ai 12 anni. Poco più di 93 mila le richieste per il bonus baby sitter (alternativo al congedo) di massimo 600 euro, cifra raddoppiata nel nuovo decreto. Il congedo retribuito al 50% si presenta come una soluzione non esaustiva per le famiglie monoreddito o con retribuzioni basse. Lo stesso vale per il bonus baby sitter, al quale non hanno accesso i genitori disoccupati, mentre ha fatto molto discutere la clausola che escluderebbe coloro che hanno usufruito di altre forme di sostegno al reddito.
Secondo il rapporto “Le Equilibriste: la maternità in Italia 2020”, curato da Save the children, i bambini che frequentano un servizio socio-educativo per la prima infanzia sono il 24,7% del totale. La maggioranza resta esclusa dalle graduatorie di accesso alle scuole dell’infanzia e agli asili nido pubblici. In fondo alla lista, con punteggi molto bassi, ci sono le famiglie in cui lavora solo la mamma o il papà, i genitori con contratti part time o con rapporti di lavoro atipico. Quelli che fanno più fatica, insomma, si ritrovano a dover ricorrere al servizio privato o alla baby sitter. Sempre che la mamma alla fine non rinunci a cercare un lavoro o lasci quello che ha (solo il 57% delle madri risulta occupata rispetto all’89,3% dei padri; il 18% delle donne con un figlio decide di ridurre il proprio orario di lavoro, contro il 3% degli uomini).
Lo studio di Save the children, infine, ha rilevato un costante e progressivo peggioramento dei servizi per l’infanzia a partire dal 2004, dovuto in particolare alle carenze dell'offerta pubblica. A questo dato, si aggiunge la fotografia di un Paese a due velocità: ai primi posti ci sono la Provincia autonoma di Trento, la Valle d’Aosta, il Friuli Venezia-Giulia. Agli ultimi, la Sicilia, la Calabria e la Campania. L’ultima regione della lista è il Lazio.