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Dal 28 gennaio al 1° febbraio 1945 si tiene a Napoli il Congresso della Cgil delle zone liberate, all’interno del quale vengono eletti i primi segretari generali della Cgil: Giuseppe Di Vittorio per i comunisti, Achille Grandi per i democristiani, Oreste Lizzadri per i socialisti. Durante gli stessi lavori si avverte l’esigenza di creare un organismo unitario capace di fornire a tutti i lavoratori un valido strumento per la difesa dei propri diritti attraverso una assistenza tecnica, amministrativa e legale per il giusto e tempestivo conseguimento delle prestazioni previdenziali previste dalle leggi.
L’11 febbraio 1945 la Cgil costituisce per la realizzazione di tali finalità l’Inca (l’atto sarà approvato due anni dopo con il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola, n. 804, del 29 luglio 1947). Negli anni l’Inca supererà gli stretti confini della assistenza tecnica e diventerà sempre più un centro fondamentale di solidarietà operativa e organizzativa per dare soccorso, difendere i diritti, risarcire le vittime, accertare le responsabilità in catastrofi come l’alluvione del Polesine (1951), le tragedie di Ribolla (1954), di Marcinelle (1956) e del Vajont (1963), le alluvioni di Firenze (1966) e del Piemonte (1994), i terremoti del Belice (1968), del Friuli (1976) e dell’Irpinia (1980), il disastro di Seveso (1976) e la vicenda legata all’Eternit di Casale Monferrato.
L’Inca si contraddistingue sul percorso della solidarietà sia con la presenza dei sui operatori sui luoghi del disastro sia nella raccolta di generi di prima necessità, in una costante gara di solidarietà che per la Cgil ha origini antiche.
Nell’Italia degli anni ’50 le colonie estive rappresentano per molti bambini, minacciati dalla tubercolosi, l’unico modo per fare le vacanze. In qualche modo ricalcando l’idea dei “treni della felicità” del Pci di Teresa Noce, anche l’Inca organizza per i figli dei lavoratori soggiorni al mare, in montagna o in località salubri dove i bambini possono svagarsi, nutrirsi in modo sano e respirare aria buona. Così anche nella foto che accompagna questo pezzo i protagonisti sono i bambini: viene scattata a Milano nel 1954 in occasione della festa della befana organizzata dal patronato il 10 gennaio e coglie il momento in cui il presidente provinciale Anselmi dona un palloncino a un bambino.
“Ancora negli anni Sessanta - scrive Giuseppe Sircana - per molti bambini e ragazzi andare in colonia rappresentava l’unico modo di godersi le vacanze. Oltre che da enti pubblici e grandi aziende, le colonie erano promosse da patronati, associazioni di assistenza confessionali e laiche. L’Inca Cgil si prendeva cura dei figli dei lavoratori, regalando loro un periodo di serena e ricostituente vacanza al mare, in montagna o dove comunque c’era 'l’aria buona'. Da un dettagliato programma - predisposto per l’estate del 1951 dall’Inca di Roma - apprendiamo che le colonie, organizzate in turni di trenta giorni, erano di due tipi: quelle con pernottamento e quelle che si svolgevano nell’arco di una giornata nelle campagne intorno alla capitale. Oltre all’alloggio veniva garantita 'un’alimentazione abbondante e una perfetta assistenza igienico-sanitaria', in quanto si riteneva che 'l’azione climatica' non avrebbe avuto effetto se il bimbo non fosse stato sufficientemente nutrito. Il menù giornaliero, definito in base a specifiche tabelle dietetiche, prevedeva colazione, pranzo, merenda e cena. La colazione del mattino era a base di latte, caffè, cioccolato e pane. A pranzo venivano serviti pastasciutta (quattro volte la settimana), pesce o carne o uova o formaggio con contorno di verdura e frutta. Per merenda poteva esserci, alternativamente, frutta, marmellata, formaggio o cioccolato. Infine, la cena: dopo la minestra, un secondo piatto a base di legumi, uova o formaggio, crema o frutta. Molta importanza era attribuita anche alle attività “sociali ed educative” affidate a personale specializzato. Per istruire dirigenti e assistenti delle colonie venivano organizzati appositi corsi di formazione con un corpo insegnante di riconosciuta competenza. Tra i docenti troviamo, infatti, Adriano Ossicini, Marisa Rodano, Dina Bertone Iovine e Laura Lombardo Radice, quest’ultima chiamata a occuparsi dell’educazione democratica del fanciullo”.
Già nel 1945 che la Cgil, ancora unitaria, inserisce tra i “problemi urgenti della ricostruzione e del risanamento del nostro Paese (…) quello che si riferisce all’infanzia”. Il problema - si legge in una circolare del 27 aprile 1945 a firma Grandi, Di Vittorio, Lizzadri, Secco, Cincolani, Lombardi - “va considerato sotto un duplice aspetto. Infatti la guerra, causando sofferenze e privazioni inaudite ai nostri bambini, ha fortemente influito sulla loro salute e ne ha diminuito la resistenza fisica, per cui si impongono cure profilattiche e mediche, non meno urgente dal lato morale è la necessità di toglierli dai pericoli della strada e salvarli dall’abbandono”.
“Se riusciremo ad aprire e far funzionare un buon numero di colonie estive - prosegue la Confederazione - che accolgano i bimbi bisognosi di cure o comunque di assistenza, avremo assolto una buona parte di questo delicato compito”.
Nel 1951 il regista Enzo Trovatelli racconta la quotidianità delle colonie nel film Giorni di sole (durata 9 minuti e 36), prodotto dall’Istituto nazionale confederale di assistenza della Cgil e oggi conservato presso l’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico.
Il commento alle immagini è di Vittorio Veltroni, giornalista, conduttore radiofonico e sceneggiatore italiano, padre di Walter e ideatore, tra l’altro de La catena della fraternità, trasmissione radiofonica del 1951, trasmessa dalla Rai, realizzata con Sergio Zavoli, Silvio Gigli e Corrado, nella quale i conduttori si alternavano a staffetta per sollecitare raccolte di fondi necessari alla ricostruzione e alla solidarietà dopo l’alluvione del Polesine, collegandosi con tutte le radio europee (l’Inca rivolgerà un accorato appello agli italiani affinché accolgano nelle loro famiglie gli innumerevoli profughi. Da parte sua il patronato riaprirà le proprie colonie per ospitare i bambini alluvionati).