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Le pensioni delle donne e quelle dei giovani, insieme ad una nuova flessibilità nelle uscite dal mercato del lavoro. Saranno questi i temi al centro del confronto sulla riforma previdenziale su cui i sindacati confederali continuano a incalzare il governo. Serve un nuovo patto intergenerazionale per evitare di creare un esercito di nuovi poveri nel prossimo futuro e servono politiche capaci di superare le profonde diseguaglianze del sistema attuale.
In attesa di avere finalmente una risposta dal governo, ieri (17 maggio) la Cgil ha diffuso un comunicato a firma dei segretari confederali, Roberto Ghiselli e Giuseppe Massafra in cui si rimette al centro dell’attenzione l’urgenza di affrontare il problema soprattutto per i giovani che rischiano di non avere mai una pensione. Secondo Ghiselli e Massafra, c’è “l’esigenza di intervenire per superare la precarietà nel mercato del lavoro, garantendo un lavoro di qualità, e al contempo l'urgenza di modificare il sistema previdenziale, prevedendo una pensione contributiva di garanzia per i giovani che non ce la fanno da soli a maturare una pensione dignitosa".
"Inoltre – proseguono – va fermato l'aumento automatico dell'età pensionistica in rapporto alla speranza di vita. D’altra parte queste proposte sono contenute nella piattaforma sindacale sulla previdenza che da mesi aspettiamo di poter discutere con il nuovo Governo. Si riapra il prima possibile il tavolo".
L’altra questione urgente, insieme a quella del riconoscimento dei lavori gravosi (è già attivo un tavolo tecnico tra governo e sindacati) è quella della parità di genere in campo previdenziale. Lo sostiene con forza da anni lo Spi, il sindacato dei pensionati della Cgil. “Le donne – dice Daniela Cappelli, segretaria nazionale dello Spi – pagano il prezzo di un mercato del lavoro che le vede relegate nei lavori più poveri e ad un orario più ridotto".
Tutto ciò, incalza la sindacalista, "ha delle conseguenze sul sistema previdenziale, soprattutto in un sistema che non tiene conto che la vita delle donne è caratterizzata non solo dal lavoro, ma anche da tutto il lavoro di cura, cioè da tutto ciò che sostiene quella fondamentale struttura sociale che sono le famiglie in ogni loro forma. Potremmo ragionevolmente dire che le donne sono in credito in tutti i settori della società, ma soprattutto nel sistema previdenziale”.
Ma ovviamente non basta elencarli i problemi. I nodi vanno sciolti. “Per rimuovere le attuali disuguaglianze – dice ancora Cappelli - serve una riforma complessiva dell’attuale sistema pensionistico, così come proposto nella piattaforma unitaria elaborata con Cisl e Uil. Il 52% delle donne sono beneficiarie di pensioni, ma sulla spesa complessiva pesano solo il 44,2%”.
Al di là degli aspetti quantitativi sull’occupazione, le differenze di genere nel mercato del lavoro chiamano in causa anche dimensioni relative alla qualità dell’impiego. Un tema, per esempio, è quello dei “gap salariali”. Il rapporto tra la retribuzione oraria delle lavoratrici dipendenti donne e quella dei lavoratori dipendenti uomini, limitando l’attenzione al settore privato, è pari in media all’89,3% a livello italiano.
Ma come si è potuti arrivare ad una divaricazione così grande dei diritti? “Anche se non c’è, ad oggi, un consenso diffuso sulle origini di questo fenomeno – dice Cappelli - molte spiegazioni riguardano la distinzione dei ruoli di genere nella vita familiare ed extra-lavorativa che mettono le donne in una posizione di svantaggio sul posto di lavoro. E c’è da tenere conto che queste differenze si consolidano in età avanzata, quando il reddito pensionistico finisce col riflettere la vita contributiva delle pensionate, spesso segnata da bassi salari, part-time e carriere interrotte o discontinue che conducono ad un montante contributivo mediamente inferiore rispetto a quello dei coetanei maschi e ad una pensione mediamente inferiore del 35%”.
Queste le conclusioni di Daniela Cappelli: “Se è vero che il tema in questione viene spesso evocato ('e poi ci sono le donne'), manca però una sufficiente riflessione e comunicazione su quello che le donne hanno subìto dal 2012 al 2020 per effetto della riforma Fornero. Faremmo bene a dire pubblicamente che una parte di quota 100 l’hanno pagata centinaia di migliaia di donne che hanno visto bloccata la pensione di vecchiaia".
Questo aspetto, secondo la dirigente dello Spi, "è spesso sottovalutato ed è un errore perché il 50% del mondo che noi rappresentiamo (le donne) ha subito in questi anni un crollo di diritti a cui noi dobbiamo rimettere mano. Non soltanto per recuperare occupazione, condizione lavorativa, riconoscimento del lavoro di cura, ma sottolineando questa distorsione prodotta dalla Fornero a cui è necessario dare risposte urgenti”.