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Nel Pnrr, il Piano di ripresa e resilienza presentato dal governo a Bruxelles, le pensioni e la riforma della previdenza sono citate solo marginalmente. Nel testo non ci sono capitoli a parte, né approfondimenti. Abbiamo chiesto al segretario confederale della Cgil, Roberto Ghiselli, con delega alle politiche previdenziali, il motivo di questa "svista".
Il fatto che il governo, dopo cinque mesi dal suo insediamento, non abbia ancora convocato il tavolo sulla previdenza può significare solo due cose: o che sottovaluta irresponsabilmente l’importanza del problema o che non ha alcuna intenzione di affrontarlo seriamente. Comunque sia la situazione sta diventando insostenibile, si rischia uno scontro sociale pesante su un tema particolarmente sensibile e delicato, che riguarda la vita di milioni di lavoratori.
Quindi le pensioni sono la grande assente nel Piano?
Nel Pnrr l’unico riferimento alle pensioni riguarda la presa d’atto del superamento di Quota 100 e la conferma dell’impianto della legge Fornero: è evidente che non si ritiene questo un tema su cui intervenire con una riforma che allenti i vincoli insostenibili dell’attuale normativa. La riprova è che non abbiamo ancora dal governo nessun segnale sull’avvio di un confronto, che per noi deve portare ad una riforma sempre più urgente. Il sindacato su questi temi non farà sconti a nessuno e darà continuità alla sua mobilitazione, dopo le manifestazioni del 26 giugno che avevano anche la riforma delle pensioni fra gli obiettivi.
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Il sindacato chiama e il governo non risponde?
Nel corso dell’ultimo periodo abbiamo avanzato molte sollecitazioni. Nei giorni scorsi abbiamo inviato unitariamente con Cisl e Uil una lettera al ministro del Lavoro, Andrea Orlando, sollecitando per l’ennesima volta l’avvio di un confronto. Se non otterremo un riscontro positivo non staremo fermi: il direttivo della Cgil ha già deciso di proporre agli altri sindacati una fase di coinvolgimento dei lavoratori sui temi sindacali più importanti in questa fase, partendo da una campagna capillare di assemblee.
Ma perché tutta questa urgenza? Quali sono i problemi da risolvere?
Tutti parlano di quello che succederà con la fine dell’esperimento di Quota 100 (fine 2021, ndr). Ma il problema non è solo lo scalone di cinque anni dopo Quota 100, il problema è più generale. Oggi l’Italia ha un sistema pensionistico fra i più penalizzanti e iniqui in Europa. L’età di pensionamento è 67 anni e per molti lavoratori, quelli che hanno iniziato a lavorare dopo il 1996 e hanno maturato una pensione bassa, questo limite è già oggi a 71 anni. Chi è nel regime contributivo non avrà neanche l’integrazione al minimo e quindi se non si interviene molte persone, soprattutto i più giovani, avranno una pensione da fame. Da qui la nostra proposta di una pensione di garanzia per i lavori poveri e discontinui, anche per dare una prospettiva previdenziale ai giovani. Inoltre ricordiamo che per accedere alla pensione anticipata occorrono 43 anni e 1 mese, fra contributi e finestra, (un anno in meno per le donne), un livello altissimo e noi diciamo che 41 anni sono già tanti. E non dimentichiamoci che questi limiti anagrafici e contributivi sono destinati a crescere negli anni per il loro aggancio alla speranza di vita media.
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Sulla flessibilità in uscita sembra comunque crescere il consenso verso un superamento delle rigidità della Fornero...
Ormai in molti, compresa la Corte dei Conti, evidenziano l’opportunità di aumentare la flessibilità in uscita permettendo alle persone di scegliere prima dei 67 anni quando andare in pensione. Vi sono opinioni diverse su diversi aspetti, come l’eventuale ricalcolo contributivo della parte retributiva o l’età del possibile anticipo, per noi 62 anni, ma che esista il problema lo riconoscono in tanti. In più la pandemia, ancora in corso, ha aggiunto ulteriori argomenti a favore di una riforma della previdenza. Con il governo Conte erano stati avviati dei tavoli preparatori per impostare la riforma che supererà la legge Fornero. Poi si è bloccato tutto.
Ora a che punto siamo?
Le due Commissioni che erano state istituite stanno lavorando. Quella sui lavori gravosi sta producendo del materiale interessante, che potrà rappresentare la base scientifica su cui poggiare il riconoscimento dei lavori più gravosi, superando il sostanziale fallimento della normativa vigente che ha visto solo poche migliaia di persone poter accedere per gravosità all’Ape sociale, alla norma sui precoci e a quella sui lavori usuranti. Quindi non basta dire di rendere strutturale l’Ape perché cosi com’è non funziona, sia per i lavori gravosi ma anche per i disoccupati anziani. L’altra commissione dispone degli elementi per evidenziare che attualmente una parte di spesa considerata pensionistica non lo è affatto, come il Tfr dei lavoratori pubblici o le rendite infortunistiche, e che la tassazione sulle pensioni in Italia è mediamente più alta che negli altri paesi europei, e quindi quel differenziale non è un costo ma per lo Stato è una partita di giro. Ma il lavoro di questa commissione è fortemente condizionato, in negativo, dall’atteggiamento della Ragioneria generale dello Stato. Se si tenesse conto di questi elementi si evidenzierebbe il fatto che la spesa pensionistica italiana non si discosta sostanzialmente dalla media degli altri Paesi europei.
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Che cosa vi aspettate dunque a livello politico? Quale segnale potrebbe esserci?
Noi ci aspettiamo, come abbiamo dichiarato in tante occasioni, un riscontro da parte del governo. Il ministro del Lavoro deve rispondere alle nostre sollecitazioni, deve indicarci un percorso e una tempistica, soprattutto deve darci risposte di merito. Altrimenti saremo costretti a fare altre scelte. I lavoratori sono molto sensibili a questo argomento e molto preoccupati per il loro futuro. Abbiamo il dovere di trovare risposte ai loro problemi.
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