PHOTO
Dopo gli innumerevoli slogan e le promesse elettorali roboanti, l’ulteriore presa in giro del governo sulle politiche previdenziali arriva sulle pensioni minime, con la beffa di un aumento di 1,8 euro al mese. Un caffè, insomma, e al bancone: neanche seduti.
Le politiche dell’esecutivo continuano insomma a rappresentare una ferita aperta per milioni di lavoratrici, lavoratori, pensionate e pensionati. Ma come si arriva a questa cifra irrisoria? Il recente decreto, pubblicato la scorsa settimana sulla Gazzetta Ufficiale n. 278 (e firmato il 15 novembre dal ministero dell’Economia e dal ministero del Lavoro) riconosce un indice di incremento dello 0,8% sulle pensioni. Un indice, quindi, persino più basso di quello che era stato ipotizzato quando il governo aveva chiuso e inviato alle Camere la manovra, che era circa dell’1% e che avrebbe prodotto un aumento delle pensioni minime che poteva tradursi di 3 euro.
Agli 1,8 euro al mese si arriva aggiungendo allo 0,8% l’incremento extra previsto per le pensioni minime del 2,2% - per il 2025 - che porta così a quel totale del 3% di rivalutazione il cui risultato è, appunto, 1,8 euro. In questo modo, una pensione minima passa dai 614,77 euro al mese del 2024 ai 616,57 euro nel 2025. Briciole, appunto.
“Aumentare le pensioni basse è sicuramente una priorità – commenta il segretario dello Spi Cgil, Lorenzo Mazzoli –, ma bisogna farlo con misure eque e in maniera strutturale. Da tempo chiediamo, come indicato nella nostra piattaforma unitaria, che venga rafforzata e allargata la quattordicesima: solo così evitiamo storture nel nostro sistema”.
“Sappiamo bene però che il governo è molto interessato agli slogan e poco invece ad affrontare con serietà temi così delicati, soprattutto in una fase inflattiva devastante come quella che abbiamo attraversato”, aggiunge il sindacalista.
Tagli devastanti e irrecuperabili sulle pensioni 2023-2024
Sulle pensioni i dati parlano chiaro. Anche se da gennaio tornerà in vigore il meccanismo di rivalutazione “senza tagli” che tutelerà un po’ meglio il potere d’acquisto, le decurtazioni subite negli ultimi due anni a causa di un'inflazione cumulata del 16,5% hanno drammaticamente impoverito il sistema previdenziale e sono state devastanti.
E, inoltre, non saranno più recuperabili. Un'analisi congiunta di Cgil e Spi dimostra che, proiettati sull'aspettativa di vita media, i tagli arrivano fino a 8.772 euro per un pensionato con 1.732 euro netti al mese e addirittura a 44.462 euro per chi percepisce 2.646 euro netti. Una perdita strutturale che penalizza pesantemente chi ha già contribuito al sistema con tasse e contributi.
Ghiglione: la mobilitazione prosegue
Come ricorda la segretaria confederale Cgil Lara Ghiglione, “i temi previdenziali sono stati portati con forza in piazza lo scorso venerdì 29 novembre a cui hanno partecipato oltre 500 mila persone in tutta Italia”. La mobilitazione, ribadisce, “prosegue: basta promesse inutili sulla pelle delle persone, bisogna cambiare strada per politiche più giuste che mettano in prima fila le persone più fragili”.
Per questo “non ci fermeremo nel sostenere le nostre rivendicazione - conclude la dirigente Cgil –: bisogna mettere al centro dell’agenda politica il tema del lavoro a partire dai giovani e delle donne, occorre fare una riforma equa del fisco, un intervento su extra profitti e grandi rendite e, non per ultimo, sulle pensioni su cui serve una discussione seria. L’ultimo confronto risale al 18 settembre 2023: basta bugie su un tema così delicato”.